Fotografia: etica della post-produzione
Dopo aver parlato in lungo e in largo della post-produzione nella fotografia, affrontiamo un tema delicatissimo: l’etica. Cos’è eticamente corretto? O meglio, esiste un’etica della fase di post-produzione digitale?
Mi è capitato spesso durante alcune chiacchierate con altri appassionati di foto di sentire affermazioni del tipo: “a me non piace fare la post produzione delle foto” oppure “eh sì, ma le mie foto non le ritocco con photoshop”.
Sarò sincero e schietto: ritengo che frasi di questo tipo non significhino nulla, quanto meno se intese come parametro di confronto con altri fotografi.
Quasi tutti pensano che il concetto di post produzione sia nato con la fotografia digitale. Ma sono in errore. O meglio: la post produzione intesa come il lavoro al computer che noi conosciamo si, è nata con l’avvento della fotografia digitale. Ma il concetto no. Quello nasce addirittura con il bianco e nero, in camera oscura.
Chi ha praticato la camera oscura sa bene di cosa si parla.
Esisteva infatti tutto un mondo di procedimenti, detti “mascherature”, che servivano a ridurre o esaltare le differenze di luce nella foto. La mascheratura avveniva durante la fase di stampa su carta, ossia quando il negativo pellicola veniva proiettato sulla carta fotografica mediante l’ingranditore.
Venivano quindi usati una serie di metodi per far si che su certe zone della carta andasse meno luce di quella che sarebbe arrivata passando attraverso il negativo. O viceversa.
Si tratta a tutti gli effetti di un procedimento HDR.
Oggi il lavoro di un fotografo è invece suddiviso in due fasi, complementari e di pari importanza: lo scatto e la trasformazione del RAW nell’immagine desiderata. Nella fase di trasformazione del RAW si andrà ad applicare un’interpretazione dei dati “puri” raccolti dal sensore. Questa fase è detta appunto di post-produzione (in senso lato). Si andrà semplicemente a sviluppare (è proprio il termine giusto) il negativo digitale agendo su contrasti, livelli di luci e ombre, e altre correzioni di questo genere, necessarie per valorizzare al meglio la foto scattata.
Questa è la differenza sostanziale tra analogico e digitale in termini di ruolo della PP. Prima era una opzione, e semmai competeva all’utilizzatore finale.
Oggi è invece una parte integrante dello scatto e compete per forza al fotografo, perché è lui che sa cosa ha visto e quindi come deve diventare quel RAW per essere il più possibile simile alla realtà fotografata. O alla sua visione creativa di essa.
Entra qui in gioco una differenza nelle varie post-produzioni, una differenza lessicale che comporta però notevoli differenze dal punto di vista fotografico.
Post produzione.
Il termine italiano post produzione è una traduzione non proprio esatta dell’inglese postprocessing, che significa “lavorazione successiva”.
Sono tutti quegli accorgimenti per dare vita al RAW e svilupparlo per assomigliare alla scena alla quale abbiamo assistito. Comprendono quindi il bilanciamento del bianco, l’esposizione, la gestione delle ombre e delle luci, ecc ecc ecc. Si agisce su questi selettori per esaltare la scena.
Fotoritocco.
Il fotoritocco, da molti incluso o confuso con la PP, è un passo oltre. Riguarda tutti gli interventi che modificano in modo sensibile l’immagine rispetto alla realtà. Senza però alterarne drasticamente la scena. Parliamo di:
- eliminazione di elementi, parti o oggetti;
- deformazione dell’immagine o di sue parti;
- modifica radicale di parametri visivi come colore o WB.
Vediamo alcuni esempi:
- usare il clone di PS per togliere elementi di disturbo che rovinano la scena o che distraggono l’attenzione dal soggetto principale;
- alterare i colori di un tramonto “smorto” agendo sulla “correzione selettiva colore”;
- aggiungere colore con luci/ombre della divisione toni per creare un crepuscolo;
- correggere la prospettiva di un edificio.
Essi sono tutti interventi di fotoritocco, e non più di semplice post produzione. Devono però rispettare la credibilità visiva. Deve sembrare talmente reale e credibile da non dare minimamente il dubbio che sia stato applicato un determinato fotoritocco. Parlando di etica nella post-produzione di una fotografia, questa fase potrebbe nella maggioranza dei casi essere il limite etico.
Fotomontaggio (o digital art).
Il terzo livello di intervento è quello che viene definito di fotomontaggio. E nella parola è già spiegato di cosa si tratta. Non parliamo del classico caso banale goliardico in cui incolliamo la faccia di un nostro amico sul un corpo diverso.
Si dice fotomontaggio tutto ciò che viene aggiunto arbitrariamente in una foto. Sia che si tratti di elementi, come oggetti o parti della foto, sia che ci si riferisca a caratteristiche di luce/colore. Ad esempio:
- Via Lattea aggiunta non nella posizione corretta di dove dovrebbe essere (il nucleo della galassia estiva incollata a nord anziché a sud);
- terreno fotografato al crepuscolo aggiunto sotto un cielo stellato o una Via Lattea (blend utilizzato per avere più dettaglio nel land)
- aggiunta del bagliore del sole;
- nuvole o cieli nuvolosi inseriti su un paesaggio con cielo azzurro (come lo strumento “sostituisci cielo” di Photoshop).
Ci sono poi tipologie di scatto in cui il fotomontaggio risulta essere indispensabile e quindi eticamente corretto. Pensiamo all’utilizzo di un astroinseguitore: il land sarà per forza di cose mosso e quindi dovrà essere incollato da un precedente scatto (o in una condizione di blue hour). Questo è eticamente corretto. Ma se incolliamo uno scatto della Via Lattea fatto per esempio in Val D’Orcia in una foto scattata nelle Dolomiti, si sconfina nel campo del fotomontaggio non eticamente corretto.
Sono infatti cose ben diverse, e con implicazioni tecniche, pratiche ed etiche molto differenti.
L’etica nella post-produzione nella fotografia è un argomento molto delicato, sopratutto con il potenziarsi degli strumenti disponibili nel mercato. La maggior parte delle volte in cui l’etica morale non è rispettata, gli occhi di un fotografo o di un fotoamatore se ne accorgono immediatamente. Solo chi non è abbastanza esperto potrà restare ammaliato davanti ad un’immagine rappresentante una scena che nella realtà non esiste.
Mattia Radoni per LiveMedia24
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