La multiforme espressione artistica di Samuel

Samuel approccia il mondo operistico con una fiaba che ferma il tempo, per farlo danzare attraverso le epoche musicali.

Sono diverse le anime musicali di Samuel Romano. O semplicemente Samuel, come lo conoscono tutti. Al giro di boa dei cinquanta, il cantante e chitarrista torinese approccia il mondo operistico con una fiaba che ferma il tempo, per farlo danzare attraverso le epoche musicali. Un gioco di sponda tra Torino e Venezia per l’ultimo multiforme lavoro della voce dei Subsonica.

Un dialogo immaginario, ma non troppo, tra il pop, l’elettronica e l’opera di Vivaldi. È la trama attorno alla quale si sviluppa il racconto de La cena del tempo, dove le composizioni del “Prete rosso” si ritrovano in mezzo a sintetizzatori, pulsazioni ritmiche e drum machine.

«Mi è stato proposto di ideare e preparare un viaggio in musica che raccontasse il suono di oggi, ma che allo stesso tempo avesse un legame con le opere di Vivaldi, i cui manoscritti originali sono conservati, per la gran parte, nella Biblioteca nazionale di Torino.»

Tra nuova musica da sperimentare, centri sociali e una sfrecciante barchetta con la quale percorrere i canali in lungo e in largo.

«Il caso ha voluto che questa richiesta sia arrivata nel momento esatto in cui decidevo di andare a trascorrere un periodo della mia vita a Venezia e, sempre per caso, prendevo casa nello stesso sestiere in cui è nato, cresciuto e ha scritto molte delle sue opere Antonio Vivaldi.»

Alla musica si affiancano la straordinaria vocalità della soprano Claudia Graziadei e l’arte della librettista Laura Venturini. In un affascinante percorso che si compone di otto riletture.

«Sei sono ispirate ad arie meno note di Vivaldi, nelle quali mi sono dedicato quasi esclusivamente alla musica con un’unica comparsa vocale in “Mentre dormi, amor fomenti”.»

Un disco, pubblicato per Stellare, che è anche un podcast. Entrambi i progetti nascono da uno spettacolo dalle tinte dickensiane andato in scena nell’autunno 2022 e di cui il musicista torinese ha curato la veste sonora. Un lavoro, quindi, che nasce come opera in occasione di uno speciale evento alla Reggia di Venaria Reale, muta in album, viene raccontato in un podcast e non esclude ulteriori sorprese da palcoscenico.

«Il podcast è il racconto delle mie passeggiate nel sestiere di Castello immaginando di chiacchierare con Vivaldi. Calpestare le stesse pietre che aveva calpestato, vedere gli stessi tramonti, le stesse mattinate nebbiose, sentire sul viso le stesse sferzate di vento di quel luogo così magico, mi ha portato a perdere i contorni di quella che è stata la mia musica fino ad oggi per immergermi dentro quella di questo straordinario compositore.»

Con quella voglia di stupire e di stupirsi di chi ha sempre concepito il proprio sound come “un’anomalia”.

«I Subsonica si sono sempre definiti un’anomalia. Siamo nati in un momento storico in cui la musica pop dominante cominciava ad aprirsi a una forma musicale più stratificata, più complessa e siamo cresciuti con quel tipo di meccanismo nel Dna. Il fatto di ritrovarci poi, con un brano o un album, primi in classifica e rimanerci per qualche tempo, è per noi un’anomalia. È fuori dal comune che una band come la nostra possa farsi strada tra le dinamiche tipiche del panorama pop, e ne siamo felici.»

Talvolta capita di sentirsi una nave in una foresta. Una scorciatoia di parole per raccontare la malinconia di uno smarrimento.

«La frase, tradotta in italiano dal gergo tipico piemontese, racconta una sensazione di smarrimento, come quando ci si sente fuori luogo. Ma è anche un’immagine molto malinconica: abbiamo voluto descrivere quella sensazione di chi si trova a visitare dei luoghi in cui ci si sente abbandonati dalle istituzioni e da tutti quei meccanismi che, in qualche modo, dovrebbero invece proteggerti. Girando su e giù per l’Italia, quello che succede lo sentiamo sulla pelle. Il palco è il primo punto di ascolto dell’emotività delle persone.»

Nel 2011 i Subsonica richiamano all’appello i propri fan chiedendo loro di elencare tutti i “non sei riuscito a…”.

«Abbiamo pensato a quel brano in maniera scherzosa. In realtà non doveva neanche finire sull’album e c’è dietro tutto un meccanismo molto più complesso. Ritornello a parte, mi piace rispondere dicendo che – a distanza di più di dieci anni – lo stimolo più profondo di quella canzone è che bisogna sempre riuscire ad andare oltre sé stessi, cercando di superarsi.»

In una vita fatta sempre più di rari squarci di eden e molteplici microchip emozionali.

«La possibilità di emozionarci ancora continuando a fare musica, e riuscire a farlo ricercando sempre un motivo valido, un motivo importante. È quello che è capitato ai Subsonica rendendoci la band che siamo.»

Nell’attesa di ritrovare Samuel & Co. a far confluire tutte le energie individuali sullo stesso palco, una piccola curiosità che forse non tutti sanno. Narra la leggenda che, per il nome da dare alla band, Samuel propone Sonica, in omaggio a una canzone dei Marlene Kuntz, e Max Subacqueo, titolo di un brano scritto con gli Africa Unite. Nel tentativo di conciliare entrambe le proposte, la ragazza di Max pensa di unire i due nomi. È il 1996 quando nascono i Subsonica.

Gino Morabito per LiveMedia24

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