Il tempo che ci vuole, la recensione

Un commovente omaggio di Francesca Comencini al padre Luigi

La regista Francesca Comencini

Francesca Comencini, terza  figlia di Luigi  (uno dei padri della commedia all’italiana),  ha seguito le orme del padre, esordendo alla regia a Parigi nel 1983. Nelle nostre sale possiamo vedere l’ultimo suo progetto: Il tempo che ci vuole presentato al Festival del Cinema di Venezia fuori concorso. Si tratta di una coraggiosa carrellata autobiografica, scritta e diretta dall’autrice,  ideata in tempo di pandemia e nutrita dei ricordi della sua stretta relazione con il padre, dall’infanzia alla burrascosa adolescenza fino al suo esordio dietro la macchia da presa e la collaborazione con l’illustre genitore  nel film “Marcellino pane e vino” nel 1991.

Il tempo che ci vuole tra padre e figlia

Il film di Francesca Comencini nasce dai ricordi più intimi e toccanti del cammino di un padre ed una figlia che hanno un rapporto magico di complicità e di ascolto ma su cui aleggiano anche dei turbamenti. Il famoso genitore  è ritratto nella vesti di papà che segue la figlia nei modi più consueti come ad esempio andare a prenderla a scuola. Tenere per mano la bambina nelle vie di Roma, partecipare al suo mondo di gioco. Viceversa Francesca è spesso accanto a Luigi nella biblioteca di famiglia e sul set di “Pinocchio”. Entrambi, in forma diversa, condividono la magia del cinema che trasporta e realizza un  mondo di fantasia e immaginazione. Tuttavia le illustrazioni del romanzo di Collodi impauriscono Francesca mentre l’edizione costosa del romanzo è fonte di ispirazione per il regista.

E’ significativa la scena in cui insieme si recano a vedere una balena imbalsamata esposta pubblicamente in Piazza del Popolo a Roma. All’ultimo però la bambina impaurita cambia idea e si rifiuta. Sono i primi segnali di due temperamenti diversi e della fragilità nel carattere di Francesca. Da adulta, la dolcezza, il suo sguardo sensibile sul mondo non mitigano il suo profondo senso di inadeguatezza, vissuto nella ricerca di una passione, di una strada da percorrere nella vita.

Il padre la osserva fiducioso, rispettando  lo spazio personale della figlia che è sempre più lontano dal suo. Solo sull’orlo della voragine decide che è arrivato il momento di intervenire: per salvarla deve  restarle accanto  in modo paziente ma risoluto, per tutto Il tempo che ci vuole.

Un racconto universale

Il film di Francesca Comencini è un racconto struggente ed incantevole allo stesso tempo in cui il rapporto padre – figlia esclude tutti dalla loro vita. In questa unicità gli altri familiari non esistono e non sono presenti. Dai ricordi della regista prendono forma immagini che dimostrano il suo grande amore  per Luigi.  Vale la pena ricordare il carisma, l’eleganza e la bontà del padre come traspaiono in una scena del film. Durante le riprese di “Pinocchio”, l’ aiuto regista si rivolge agli anziani del borgo che si affacciano alle finestre  per vedere ciò che accade sul set e con tono concitato, urlando, intima di  rientrare. Comencini interviene, sgrida il collaboratore con  una frase lapidaria: “Prima la  gente, la vita, dopo viene il cinema!”

 

Ed è al cinema che rinuncia Luigi Comencini per dare  priorità alla vita della figlia, alla salvezza dalla dipendenza. Lo slogan espresso sul set di “Pinocchio” diventa progetto  personale da mettere in pratica. Il padre accompagna la figlia a Parigi dove diviene una costante presenza anche autoritaria  che ne  delimita lo spazio personale  per arginare la deriva in cui era caduta. Il contatto  tra i due talora è   conflitto. Ma le  imposizioni  sono anche  un appiglio  irrinunciabile per risalire la china.

In questo film c’è tutta la riconoscenza di Francesca Comencini nei confronti di una grande uomo e di un grande padre.

 

 

 

Emma Borella per http://LiveMedia24.com

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