Ancora più che mai, Oliviero Toscani contro tutti
Ha fotografato ottantamila facce solo per il progetto Razza umana. Il carisma lo sente come un odore. Oliviero Toscani Milanese verace, trasforma la pubblicità in un mezzo per parlare dei problemi su larga scala, di razzismo, fame, pena di morte, Aids, religione, sesso, guerra, violenza.
È stato il primo a sdoganare una visione del mondo inclusiva e senza frontiere, il primo a sfruttare la forza di un brand per vendere non prodotti ma valori, a usare la moda come arma di denuncia.
Come spesso gli artisti e i creativi, non è un uomo facile. Anzi. Tagliato il traguardo degli ottanta, è ancora più che mai Oliviero Toscani contro tutti.
Provocatorio, trasgressivo, dissacrante.
«Con l’età sono peggiorato. O meglio, peggioro per il pubblico. In realtà, mi arrabbio quando vedo qualcosa che non mi va bene: ad esempio, quando vedo quello che succede con gli immigrati per la mancanza di civiltà, soprattutto della civiltà ufficiale. Siamo governati male e mi arrabbio con gli italiani (e quindi anche con me stesso) perché in fondo i governanti li votiamo noi. Mi fa paura il modo di ragionare della nostra comunità.»
Una paura incarnata nella mancanza di generosità, di riconoscenza. Paura di così tanta cattiveria, della mancanza di verità, di onestà. La paura che invecchiare sia il castigo di essere ancora vivi.
«Penso che non sia possibile accettare di vivere in questo corpo che non riesce più a correre come una volta e fare quello che faceva fino a qualche anno fa. Purtroppo bisogna adattarsi ed io, come i bambini, vivo un nuovo momento di adattamento.»
Da oltre cinquant’anni, attraverso il suo obiettivo, racconta il tempo e la società.
«Ho raccontato tutto, per fortuna esistono le immagini di ciò che è successo. Bisogna vedere tutto e nessuno può censurare niente. Se puoi raccontare per fotografia, vuol dire che è successo. La fotografia non è altro che la documentazione fedele dei fatti, delle persone, delle cose che ci circondano. Tutto ciò che esiste è fotografabile, infatti il Padre Eterno nessuno l’ha fotografato perché non esiste.»
La fotografia come memoria storica dell’umanità.
«Da quando esiste la fotografia esiste la vera documentazione della condizione umana nel mondo. Prima erano palle, erano tutte fake news. Il Vangelo è una fake news. Chi l’ha detto che Cristo faceva davvero i miracoli? Avrei voluto avere là una telecamera o una macchina fotografica e documentare come tramutava l’acqua in vino. Non vorrei essere irriverente né blasfemo, ma quello che mi hanno insegnato è proprio questo. Da quando c’è la fotografia ci siamo resi conto veramente della disumanità umana nei confronti dei propri simili, del nostro prossimo.»
I soli sono quelli più angelici, con uno sguardo tra la speranza e la tragedia.
«Nel mio progetto Razza umana ho fotografato su fondo bianco ottantamila facce in giro per il mondo, le ho guardate tutte negli occhi, una ad una. Devo ammettere che ogni persona è un’opera d’arte, non ne esiste una brutta. I diseredati che nessuno vede sono i più interessanti. Gli invisibili, i reietti dalla società, i senzatetto, quando li metto davanti all’obiettivo è come se fotografassero me.»
Bisogna provocare la bellezza.
«Il mio non è il gusto della provocazione, io faccio quello che so fare. Per il pensiero comune, provocare ha un significato negativo. Dare a uno del provocatore è etichettarlo come poco affidabile, invece provocare è essenziale: bisogna provocare la bellezza, la bontà, l’educazione, i buoni sentimenti, la pace, la tolleranza; provocare un ragionamento, una reazione, un ripensamento, un’analisi di ciò che si guarda. Si è provocati da qualcosa che mette in discussione le nostre certezze. L’arte senza provocazione non è arte. Qualsiasi cosa che provochi interesse è un’opera d’arte, e c’è anche la bellezza della tragedia purtroppo.»
Eros e Thanatos, i due impulsi che dominano l’uomo.
«Nella comunicazione interessano il sesso e la morte. Il sesso visto come vita, come genere, e la morte declinata nelle guerre, nelle violenze. Eros e Thanatos, questi due temi sono inesauribili e tutto il mondo se ne interessa.»
L’evoluzione del linguaggio passa per la creatività della comunicazione.
«I linguaggi cambiano perché cambiano le tecnologie della comunicazione. Una volta la comunicazione erano gli affreschi nelle chiese, non c’era nient’altro. Poi è arrivata la stampa, l’invenzione umana più incredibile.»
Un’ispirazione geniale nasce quando ognuno di noi viene al mondo e poi, influenzato dall’educazione ricevuta e dalla cultura che ha assorbito, comincia a ragionare con la propria testa.
«Io sono semplicemente un situazionista, nient’altro. Non ho idee. Io vivo, guardo, mi accorgo di alcune situazioni e da lì traggo ispirazione. Bisogna saper osservare ciò che si vede e non tutti ci riescono. Saper analizzare ciò che si vede e poi criticare ciò che si analizza, questa è la mia procedura. Da lì vengono fuori le ispirazioni come la foto del prete che bacia la suora, o quella dei due gemellini neri, uno russo e l’altro americano, o ancora quella dell’angelo diabolico e del diavolo angelico. È situazionismo.»
Anche Fellini era un situazionista.
«Non lavorava con i copioni, lasciava libera la fantasia, improvvisava come nel jazz. L’ho conosciuto bene, era un amico, una persona che aveva pazienza. Ricordo che ci trovavamo a Roma perché dovevo fotografare le collezioni dell’alta moda e lui rimase nel mio studio fino alle tre di notte. Poi mi disse: “Oliviero, quando vieni da queste parti, chiamami perché mi interessa vedere come lavori.”. E così, ogni volta che andavo a Roma, veniva nel mio studio a vedere quello che facevo. Era divertente avere Fellini come spettatore.»
Successo è riuscire ad essere liberi e allo stesso tempo impegnati, avere le mani occupate. Come nella realizzazione del progetto I bambini ricordano.
«Vado molto fiero di quel lavoro, un libro incentrato su chi era bambino durante l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Un reportage fatto sessant’anni dopo la strage. Modestia a parte, bisogna esser bravi per riuscire a fare un reportage sessant’anni dopo un avvenimento!»
Fiero di essere italiano? No, grazie.
«Non sono fiero di essere italiano, non sono fiero delle cose che sono successe senza il mio volere. Essere italiano non è una mia libera scelta. Non sono fiero di essere italiano, milanese, di essere maschio, alto un metro e ottantasette… di quello non sono fiero. Sarò fiero, se un giorno potrò dire di aver contribuito a fare l’Europa che non c’era prima.»
Trust yourself, credi in te stesso.
«Probabilmente sono un narcisista perché penso che l’unica persona di cui in fondo mi possa fidare sia io stesso. Non posso essere meglio di quello che sono. Sono quello che sono e mi accetto così. Mi fido di me stesso, non mi imbroglio, non vivo ipocritamente. Se una cosa non mi piace, lo dico. Dico quello che penso e, se gli altri non accettano il mio pensiero, amen. Ognuno di noi vede le cose da una certa angolazione, non comprende bene il campo totale. Chi non è narcisista? Solamente qualcuno che si vuol fare del male non lo è; chi non si rispetta, chi non ha fiducia in sé stesso.»
Cresciuto a pane e fotografia (suo padre, Fedele, è stato reporter per il Corriere della Sera), la carriera di Oliviero Toscani esplode negli anni Settanta con il celebre scatto del sedere di Donna Jordan in shorts Jesus Jeans con sotto lo slogan “Chi mi ama, mi segua”. Da lì continua con marchi importanti e riviste prestigiose, ideando e producendo le campagne pubblicitarie più iconiche della storia contemporanea.
«Sono un figlio degli anni Sessanta. Ho la stessa età di Muhammad Ali, dei Beatles, dei Rolling Stones. Ho vinto quattro Leoni d’Oro (che non sono mai andato a ritirare), il Gran Premio dell’Unesco, due volte il Gran Premio d’Affichage e numerosi premi degli Art Directors Club di tutto il mondo. Sono stato anche vincitore del premio “creative hero” della Saatchi & Saatchi. L’Accademia di Belle Arti di Urbino mi ha conferito il premio Il Sogno di Piero e ho ricevuto dall’Accademia delle Belle Arti di Firenze il titolo di Accademico d’Onore. Vorrei che mi si riconoscesse tutta quella parte del mio lavoro che non sono le foto per la Benetton.»
Gino Morabito per LiveMedia24