Reduce dalla Palma d’Oro a Cannes, proiettato alla Festa del Cinema di Roma, in corsa agli Oscar 2025, Anora è nelle sale dal 7 novembre.
Anora è il nome della giovane protagonista. La ragazza, bella e disinvolta, fa la lap dance in un locale di Manhattan e tutti la chiamano Ani perché Anora le ricorda troppo la recente immigrazione dalla Russia. Vive nel New Jersey, si fa gli affari suoi senza troppe illusioni. Ma quando incontra il giovane rampollo di un oligarca russo che si invaghisce di lei fino a chiederle di sposarsi a Las Vegas, Ani crede davvero che la favola si sia avverata.
Inizia così il piacevole film di Sean Baker, uno dei più vitali registi americani di oggi, abile nel creare ambientazioni a New York e Las Vegas vivide e concrete: basti ricordare Prince of Broadway (premiato al Torino Film Festival), le prostitute di Tangerine (girato con un iFhone5 ed un cast amatoriale) o Un sogno chiamato Florida (una storia di disperazione raccontata con una grande dose di allegria). Nel nuovo film Anora, il regista conferma il suo stile moderno e piacevole con cui rivisita la commedia classica per raccontare, con sguardo divertito, storie di ordinaria marginalità.
Ed è davvero così, si ride tantissimo nelle scene in cui il sogno di Anora sembra svanire, in cui si ritrova sola con antagonisti buffi ma implacabili. La ragazza, stripper pendolare tra Manhattan e il New Jersey, non si fa grandi illusioni nella vita. Ha poche aspirazioni, desidera semplicemente “andare a vedere il castello di Cenerentola” e, senza tanti moralismi, usa il suo splendido corpo per vivere. Con uno sguardo da cerbiatta, brillantini nei capelli e unghie ammalianti, si fa infilare i dollari nel tanga dai clienti del night dove lavora. Ad un certo punto tutto cambia, la favola sembra avverarsi: il riccone arriva e con lui il turbine di una vita in cui tutto è permesso e realizzabile.
La disillusione
Ma Anora non vive ad Hollywood e non è più tempo di favole. Anche Pretty Woman è lontana. Si tratta di un film di Sean Baker, giusto o sbagliato che sia. Si ride con una storia lineare dal finale mozzafiato che lascia senza parole, attraverso una scrittura filmica che sottolinea la mercificazione del corpo femminile ed il potere sfacciato del capitalismo più selvaggio. In questa vicenda nessun desiderio incontra ostacoli, l’amore può essere una nuova forma di divertimento, un passatempo in attesa della vita vera.
Non si è di fronte ad una opera straordinaria e complessa come Megalopolis o Partenope. Ovvero ad un film dalla regia impeccabile, una fotografia sublime, intessuto di metafore affascinanti che affondano a piene mani nella storia della cinematografia ma, purtroppo, autoreferenziale e apprezzato soprattutto da un pubblico di cinefili. Dunque la giuria di Cannes ha premiato un progetto alla portata di tutti, con un nuovo personaggio femminile originale e scanzonato, interpretato magistralmente da Mikey Madison e si parla già di Oscar alla Migliore Attrice Protagonista. Qualcosa vorrà dire.
Emma Borella per http://LiveMedia24.com