L’ultimo film di Gabriele Salvatores conferma la grande creatività del regista e la capacità di rinnovarsi.
Una trasposizione psicologica in cui vita, cinema e letteratura si fondono assieme.
Gabriele Salvatores stupisce per la continua innovazione delle tematiche e dei generi del suo cinema. Negli ultimi anni si è dedicato al mondo dei ragazzi con il ciclo de “Il ragazzo invisibile” e con “Tutto il mio folle amore”. Dopo un film sul teatro ”Comedians”, ecco la sua nuova opera, “Il ritorno di Casanova”, raccontare il cinema in una dimensione spiccatamente personale. In particolare la crisi creativa che può accadere a qualsiasi maestro, la citazione a “Otto e mezzo” è doverosa, il mettersi a nudo come regista e come uomo attraverso gli strumenti della settima arte e della letteratura.
L’idea
Lo spunto nasce dal racconto omonimo di Arthur Schinitzler in cui Casanova, non più giovane, dopo tanti anni di esilio da Venezia, cerca di tornare in patria. Nel suo peregrinare a piedi nelle campagne, incontra l’amico di un tempo Olivo, che gli offre calorosa ospitalità. Il vecchio Casanova, pur consapevole di non essere ancora avvenente, non rinuncia al ruolo di seduttore che gli appartenne tutta la vita e cerca in tutti i modi di possedere la giovane bella e sfuggente Marcolina, donna colta ed anticonvenzionale.
Il regista
Il regista Bernardi, il possibile alter ego di Salvatores, deve concludere il suo film che racconta la storia di Casanova, ma nel lavoro di montaggio una perenne insoddisfazione lo assale e blocca la conclusione della sua opera. Egli è sollecitato dal produttore che lo ha finanziato, dalla scadenza della mostra del cinema di Venezia e dall’amico montatore, ma il suo vissuto esistenziale fa di lui un uomo immobile, prigioniero di una crisi profonda, immerso in una contemporaneità competitiva e tecnologica quasi surreale. Non a caso una delle prime immagini è un robot aspirapolvere, ripreso in primo piano con un artistico bianco e nero, che si muove indisturbato sul pavimento di una bella casa nel centro di Milano, città moderna ed estraniante dove si può restare intrappolati da tecnologiche porte a vetro di uno sportello bancomat.
Realtà – cinema
Il film è caratterizzato da una costante dualità e interconnessione tra i personaggi protagonisti, Casanova rappresentato dal bravo Fabrizio Bentivoglio ed il regista Leo Bernardi ovvero l’indiscusso Toni Servillo. Le vicende di Casanova, riprese a colori, sono lo specchio della vita del regista Bernardi, raccontata con un raffinato bianco e nero. Entrambi avvertono l’inesorabilità del tempo che passa, la decadenza incipiente, inarrestabile del corpo, la competizione del nuovo che avanza che sfida l’estro creativo del maestro, come il terreno di seduzione del libertino. Vita e cinema si attraversano, si contaminano reciprocamente in un gioco di alterità che può essere freudiano e che indubbiamente rispecchia la dimensione personale del regista sospeso tra cinema romanzo e vita.
Il fluire della vita
Il film racconta un dissidio interiore e un particolare momento in cui l’atto creativo è bloccato dalla difficoltà di accettare il divenire dell’esistenza e l’avvicinarsi della vecchiaia. E’ anche una riflessione sul cinema e sui suoi molteplici aspetti. Spesso si considera un film opera solo di un maestro e non un prodotto corale, in cui il lavoro di tutti è estremamente prezioso. Il cinema è anche il glamour dei festival o sono i flash dei fotografi a volte solo subiti. Per Salvatores il cinema è l’attività di tutta la sua vita.
Egli ha dichiarato che quando finisce un film pensa subito al successivo. Ma riconosce anche che se un tempo avrebbe considerato più importante il cinema della vita, ora, in età matura, antepone la vita alla dimensione artistica del cinema. Nella vita, secondo il regista, è importante “uccidere la propria giovinezza” per adattarsi alle stagioni che cambiano, superare lo scacco del possibile fallimento, aprendosi al fluire dell’esistenza e alla meraviglia che è sempre insita in essa.
A cura di Emma Borella per LiveMedia24