Il primo lavoro è stato una miniserie per la televisione, Piazza di Spagna: era il 1992. Non pensava di fare l’attrice, voleva diventare stilista, ma quel mondo l’ha conquistata.
L’incontro con l’agente Paola Pegoraro, moglie del regista Elio Petri, e per Vittoria Belvedere si spalancano le porte di un successo in continua ascesa, all’insegna di quella bellezza delicata e magnetica che avrebbe indirizzato la sua vita.
Cinquanta primavere che emanano un profumo inebriante.
«Sono felicissima! Ogni tanto mi dicono che non bisogna dire di essere felici perché si suscitano le invidie, ma a me non importa. Sono felice di quello che ho, della mia famiglia, dei miei figli. Sono una donna realizzata. Tutto quello che desideravo, faticando, sono riuscita ad averlo.»
Oggi Vittoria è una donna affermata. Ha sfondato nel mondo dello spettacolo, diventando un volto noto del cinema, della televisione, del teatro. Una donna realizzata che continua a sognare con lo sguardo rivolto ai propri cari.
«Sono una donna con i piedi per terra. Questo non vuol dire che io abbia paura di sognare, anzi. Sogno per il futuro della mia famiglia e dei miei figli ma, per quello che mi riguarda, preferisco vivere alla giornata e non fare mai il passo più lungo della gamba. La verità è che ho paura di essere delusa e, non nutrendo grandi speranze, ho meno probabilità di esserlo.»
Una carriera professionale proiettata verso un continuo ad maiora, passando per qualche fatalistica disillusione.
«Ho sperato in un provino, in un lavoro che poi non è andato in porto. Il fatto che non ci voglia sperare troppo, non vuol dire però che io non ci metta la giusta carica e il pensiero positivo. Lo faccio ripetendomi sempre: “Se sarà, sarà!”.»
Il leitmotiv di una ragazza cresciuta a Vimercate, nella Brianza, con il pregiudizio di chi etichettava la gente in base alla provenienza.
«Per i brianzoli io e la mia famiglia eravamo terroni, ci chiamavano così. Da piccola, quando stavamo in Calabria, vivevo molto la campagna: mi arrampicavo sugli alberi; ero una bambina che giocava con i maschietti e si comportava come loro, andavamo nei campi a rubacchiare una pannocchia o un grappolo di uva fragola.»
Spensieratezza e divertimento nell’amarcord di una splendida figlia del Sud, ancorata agli affetti e alle tradizioni familiari.
«Nei mesi estivi, quando la scuola era chiusa, i miei mi mandavano in campagna dai nonni che erano contadini. Ricordo che la mattina, dopo aver fatto colazione, si andava a dar da mangiare agli animali, poi si organizzava il pranzo e nel pomeriggio mio nonno ci caricava tutti sulla Lambretta e ci portava al mare. Delle volte, con mia nonna facevamo quelle stradine ripide a piedi, sostando lungo i sentieri per raccogliere le more. Vorrei tornare indietro solo per rivivere quelle giornate.»
Le assolate giornate di una principessa romantica, d’altri tempi. All’apparenza algida e distante, ma con nel cuore lo spirito calabrese vivo.
«Da buona calabrese, sono testarda e mi offendo facilmente. Quando litigo con mio marito, anche se ho torto marcio, piuttosto muoio ma mantengo il punto fino alla fine. Lui però, in questi anni, mi ha fatto comprendere l’importanza del dialogo e della condivisione: quando abbiamo avuto dei momenti difficili, mi ha fermato e li abbiamo affrontati insieme. Ho trovato l’uomo della mia vita, una persona speciale che mi ha insegnato a risolvere i problemi e a non scappare.»
In un mondo caratterizzato sempre di più da relazioni virtuali in cui il coinvolgimento spesso risulta indiretto, Vittoria Belvedere la verità ci spiega sull’amore. Quell’amore adolescenziale fatto di pudico rossore alle guance, che si alimentava di sguardi, di lunghi pomeriggi trascorsi nell’attesa che lui chiamasse. Quell’amore illogico che le faceva battere forte il cuore.
«Mi ricordo che a dodici, tredici anni, fino alla terza media, scrivevo le lettere al mio primo fidanzatino. All’inizio erano bigliettini che ci lanciavamo dal pullman, quando passavamo l’una davanti alla scuola dell’altro. Ai tempi non c’era la stessa libertà di uscire che hanno i ragazzini di oggi; non c’erano i cellulari e, per chiamarsi, ci volevano i gettoni. Quando qualcuno provava a telefonarmi a casa, mio padre, geloso, diceva che non c’ero o che in quella casa non abitava nessuna Vittoria, aggiungendo di non cercarmi più. Oggi mia figlia mi fa vedere su Instagram se c’è un ragazzo che le piace. Non c’è più il contatto fisico. Come si fa ad insegnare alle nuove generazioni i valori della vita e come riuscire a costruirsi una bella famiglia?»
Un marito, tre figli e la curiosità di una donna che ama rimettersi in gioco continuamente, alla scoperta di una nuova sé stessa.
«Fino a qualche anno fa non mi sarei sentita capace di poter salire su un palcoscenico in un teatro, ma l’ho fatto addirittura a Sanremo; non pensavo di avere delle doti canore e invece ho imparato a cantare… Certo, ancora oggi, credo di avere tanto da imparare, ma sono diventata una donna iperattiva, una donna che ha cercato di migliorare le proprie qualità professionali.»
Personalità timida ma godereccia quella dell’attrice apprezzata in Italia e all’estero per la sua genuinità e la capacità di restare naturale, a dispetto della politica imperante nello show biz. Ripensa a “un’avventura” con Kim Rossi Stuart… galeotto fu il set La famiglia Ricordi di Mario Bolognini.
«Il mio non era un grande ruolo, interpretavo l’amante di Kim. Ricordo che in quel periodo ero fidanzata, mentre lui aveva da poco perso il padre. Finite le riprese, ogni tanto ci sentivamo. Un giorno, mentre ero in Calabria dai miei nonni, Kim mi chiamò proponendomi di fare un viaggio in Turchia.
All’epoca ero già indipendente economicamente e mi trovavo dai miei nonni per cercare di superare un periodo negativo: il mio fidanzato di allora mi aveva lasciata perché, qualche mese prima, durante una vacanza, aveva rivisto una sua vecchia fiamma e se ne era innamorato.
Io stavo sotto un treno, così accettai la sua proposta. La settimana seguente io e Kim ci incontrammo a Roma, in partenza per la Turchia. Fu una vacanza on the road: di giorno guidavamo e ci spostavamo, di notte facevamo le soste.
Una sera, accadde che non riuscimmo a trovare due camere separate e così finimmo per condividere la stessa stanza. Lui me lo ricordo come un principe, un gran signore bello e galante che ci provò carinamente. Con altrettanta carineria io gli risposi che non ci stavo con la testa e che non era il caso. A ripensarci oggi, mi mangerei le mani (ride, N.d.R.).»
Sorride complice Vittoria Belvedere. Un sorriso gentile e ammaliante che sfida il tempo e le illumina il viso.
Gino Morabito per LiveMedia24