La Professoressa Maria Falcone, sorella del magistrato, racconta Giovanni Falcone nella sua quotidianità e ci ricorda che i suoi valori devono ancor oggi proseguire il cammino della lotta alla mafia con i nostri passi.
Si è aperta il 19 maggio la prima delle cinque giornate della più importante manifestazione italiana nel campo dell’editoria, a Torino. La 34ª edizione del Salone Internazionale del libro ha un programma coinvolgente, con i Cuori Selvaggi; ad aver coinvolto, invece, noi di LiveMedia24, prendendoci quasi per mano e invitandoci a percorrere una strada di ricordi, è stata Maria Falcone con il suo intervento che ha inaugurato l’evento nell’Arena Boockstock, spazio all’insegna dei giovani lettori. In quest’intervento curato da Mondadori, la Professoressa Falcone ha invitato la coscienza di tutti coloro che erano lì davanti a lei, pronti ad ascoltarla, a conoscere la figura del magistrato più da vicino: con lei, Massimo Giannini, direttore de La Stampa.
Maria Falcone racconta Giovanni Falcone
Sono trascorsi trent’anni da quel 23 maggio del 1992. Guardando gli anni che ci siamo lasciati alle spalle, lo vediamo: l’insieme di tutte quelle domande che dobbiamo continuare sempre a porci è un punto in onore della democrazia del nostro Paese.
Da quello spaccato del maggio 1992 guardiamo Falcone, e Borsellino insieme a lui, come un eroe. Forse, però, sbagliamo perché Giovanni Falcone s’era mai sentito d’essere un eroe, dice la Professoressa. La sua mira non era quella, lui voleva solo essere un bravo magistrato. Questa mira, però, è riuscito a prenderla in pieno: Falcone è stato più d’un bravo magistrato.
Prima di essere un uomo che continuava a portare avanti le sue idee e i suoi valori, nonostante intorno a lui ci fosse il vuoto delle istituzioni e della magistratura, era un bambino che da grande voleva essere Zorro.
A distanza di anni siamo in grado di leggere in quel costume di Carnevale il segno della propensione verso l’idea di far valere la giustizia. Giovanni Falcone era, quindi, un ragazzo con un innato senso del dovere che poi con gli anni sarebbe divenuto la sua religione.
Giovanni non voleva nemmeno fare il magistrato, ci racconta sua sorella Maria Falcone; questa scelta, in realtà, era stata una scelta del padre di Giovanni. E Falcone, che tanto lo amava come solo un figlio è in grado di fare, scelse di intraprendere questa carriera. Eppure, forse ancora non poteva saperlo che si sarebbe rivelata proprio la sua vocazione: Giovanni si laurea a 22 anni e dopo sei mesi tenta il concorso. Lo vince.
Inizia da questo momento la tortuosità del suo rapporto con la magistratura.
Perché la magistratura non ha sostenuto Giovanni? La Professoressa Falcone ha cercato spesso, nel corso di questi trent’anni, di darsi una risposta. Eppure, non è stato facile trovarla: è un’indagine complessa e non si è ancora scoperto un perché definitivo. Una cosa l’abbiamo però capita: dietro le grandi stragi non c’è stata solo la mafia. E Falcone lo doveva sapere bene. Lui, fin troppo ostacolato nella sua battaglia da tutti coloro che, in realtà, avrebbero dovuto sostenerlo davvero.
La Professoressa Falcone riassume la storia di Giovanni come un racconto fatto di poche vittorie e molte sconfitte. Ma come biasimarla in tal senso: il coraggioso cammino che ha percorso Falcone è stato segnato da una magistratura che si è mossa lentamente, in maniera vaga, e da uno stato disattento.
Ma se, oggi, guardiamo a cosa successe dopo quel 23 maggio di trent’anni fa, la vediamo la vittoria più grande mai ottenuta nella storia della lotta alla mafia: la volontà, il bisogno, la necessità di costruire un’Italia più giusta da cui ripartire, dopo quel buio.
Oggi abbiamo sconfitto la mafia?
Guardare al presente è spesso difficile. È una strada incerta, lunga da percorrere. Ci vuole tempo e fatica. Maria Falcone, però, sembra rassicurarci: non si può dire che nulla sia cambiato dalla generazione che ci ha preceduti, dalle stragi lasciate alle spalle, dalle macerie da cui siamo poi ripartiti trent’anni fa.
È vero, restano molti misteri irrisolti su cui si deve fare luce, come il depistaggio del processo di Borsellino. La società ha attinto, però, ai valori che Falcone e Borsellino hanno trasmesso, ma non dobbiamo pensare di vivere in una società redenta. Dobbiamo stare attenti perché la caratteristica della mafia è quella di insidiarsi. E così potremmo, a un certo punto, non capire dove si trovi la società buona e dove, invece, sia quella malata.
E quindi cosa possiamo fare quotidianamente? La Professoressa Falcone ci dice che per sconfiggere la mafia del tutto, la si deve affrontare e fronteggiare sul piano culturale: è solo in questo modo che i giovani, e non solo, possono comprendere come atteggiarsi e come si deve contrastare l’esistenza stessa della mafia.
Sono trascorsi trent’anni dal momento in cui le macerie della giustizia sono crollate di fronte ai nostri occhi, ma oggi possiamo dirlo: la mafia non ha vinto.
A cura di Sophia Di Paolo
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