Voleva fare l’esploratore ed è diventato un africanista convinto. Con lo sguardo che corre a Nairobi, fra i bambini di quartieri poverissimi mentre gioca facendosi carico delle loro ragioni. Nei tratti di Giobbe Covatta emergono vulcanicamente in superficie comicità, ironia e satira con un sottile strato di amarezza che risiede più in profondità. Resta lì, in attesa di fare la sua comparsa, come sempre accade negli show del comico napoletano, dove si ride e si riflette anche su tutto il resto.
I dintorni, quelle umane fragilità e pochezze che affiorano dalla stretta attualità, mettendo alla berlina gli usi e i costumi di un popolo di poeti, santi e navigatori. Un linguaggio, irriverente e dissacratorio, con cui offre spunti di divertimento ma anche opportunità di divulgazione scientifica su quelli che sono senza dubbio i grandi temi del nostro secolo.
Dopo 7 (come i vizi capitali) e 30 (come gli articoli della Carta dei diritti dell’uomo), Giobbe Covatta torna in scena con 6° (sei gradi), uno spettacolo in programma il 20 gennaio 2023 al Teatro della Concordia di Venaria Reale (TO). Con la partecipazione di Ugo Gangheri, l’artista originario di Taranto pone l’attenzione sull’aumento in gradi della temperatura del nostro pianeta. Una spassosa rappresentazione proiettata nel futuro in diversi periodi storici, dove i protagonisti avranno ereditato da noi il nostro patrimonio economico, sociale e culturale, ma anche il mondo nello stato in cui glielo avremo lasciato.
Modelli matematici applicati all’ecologia, creati con solide basi scientifiche, ci fanno plausibilmente ipotizzare che i nostri più stretti discendenti si dovranno adattare a sopravvivere su una Terra divenuta assai meno ospitale.
«Certo l’uomo non perderà il suo ingegno e mi sono divertito a immaginare le drammatiche e stravaganti invenzioni scientifiche, sociali e politiche, che metteremo a punto per far fronte a una drammatica emergenza ambientale e sociale.»
Emergono personaggi di grande verve comica indaffarati a realizzare all’ultimo momento quello che noi avremmo dovuto fare da anni.
«Probabilmente i nostri discendenti ce l’avranno un po’ con i loro genitori, nonni e bisnonni. Forse ci giudicheranno severamente e probabilmente troveranno estremamente ridicolo e pericoloso il nostro modo di vivere, chissà.»
La profondità di un testo leggero che fa riflettere.
«Vorrei ridimensionare questo ruolo. Non è che “scrivo spettacoli per far riflettere”, gli spettatori pagano il biglietto per ridere, non per sentire un comizio! Però racconto cose che mi stanno a cuore e se qualcuno, oltre a divertirsi come spero, trova in quello che dico qualcosa che lo incuriosisce, un argomento che gli vien voglia di approfondire, sono contento. Mi definisco “un divulgatore laureato al Cepu…”.»
La cultura del rispetto, della salvaguardia e della sostenibilità del pianeta e delle sue popolazioni divulgata attraverso la voce dell’ironia per trovare ascolto.
«La logica ci dice che tutto fa brodo: quindi, se, in questo mare magnum dell’informazione e della sensibilizzazione alle problematiche, anche una sola voce ironica contribuisce, che ben venga! Il punto però non è se l’ironia contribuisca a far sì che un problema possa essere affrontato, quanto piuttosto se l’ironia sia e rimanga l’unica voce.»
Il problema italico non è la mancanza di generosità, quanto piuttosto la presenza ingombrante dell’ignoranza.
«… Laddove per ignoranza si intende proprio la mancata conoscenza dei fatti. Noi siamo generosi senza sapere il perché, ci proponiamo nella risoluzione di problemi che non conosciamo. Allora, quando faccio la raccolta fondi per Amref, quello che mi capita spesso di dire è: mi volete dare venti euro? Datemene dieci, a condizione però che con gli altri dieci vi compriate un libro di storia.»
Il mondo che stiamo restituendo ai nostri figli.
«Di base sono un ottimista, ma colgo dei segnali che mi lasciano molto perplesso. Credo che ci stiamo avviando verso una società un po’ confusa, sia per quanto riguarda l’informazione, sia per quanto concerne la gestione dell’informazione. Poi il mio ottimismo mi porta a pensare che, affondando le radici della cultura italiana in un’antica solidarietà, la nostra storia non sia passata inutilmente e abbia lasciato dei segni, delle cicatrici nel cuore. E voglio supporre che proprio queste cicatrici facciano la differenza.»
Dall’universale al particolare.
«Credo che il problema vero sia legato all’economia. Nella cooperazione internazionale, ad esempio, attuiamo scambi basati sull’economia dei vari paesi, dimenticando purtroppo molto spesso che in quei paesi ci vivono degli esseri umani. Allora, forse, bisognerebbe fare dei trapianti di sentimenti mirati a quanti gestiscono tutto questo potere, cercando di spostare l’attenzione dall’aspetto macroeconomico del pianeta a quelle che sono le esigenze reali delle persone.»
“La prima cosa che dovete sapere è che uomo e donna si sono evoluti insieme, fianco a fianco. E questo dimostra che la femmina della razza umana è l’animale più coraggioso che esista in natura, l’unico che riesce a sopportare un uomo a fianco per tutta la vita…”.
«Se il mondo fosse delle donne, non ci sarebbero problemi così seri legati alle difficoltà di rapporto tra specie diverse e individui differenti. Darei certamente il mondo in mano alle donne. L’ho fatto a casa mia, consegnando il mio microcosmo nelle mani di mia moglie, consapevole che è molto più abile di me a gestirlo, con maggiore energia, saggezza e lungimiranza. L’unico limite – a mio avviso – di un ipotetico mondo di sole donne, che si riproducono per partenogenesi, sarebbe il venir meno della seduzione. A parte questo, le donne potrebbero tranquillamente sopravvivere, noi uomini assolutamente no.»
Gino Morabito per LiveMedia24