Pietro Leeman: che “Joia” di cucina!

Pietro LEEMANN:  che “Joia” di cucina!

L’incontro tra Flavio Bardelli – chef vegano di Finale Ligure etichettato come “un’enciclopedia vivente del mondo enogastronomico”– e lo chef stellato Pietro LEEMANN – il guru della cucina vegetale e naturale – è stato un generoso rincalzo continuo di scambi da lasciarci sospesi come i bambini quando aspettano di sentire come va a finire la favola…

Questa placida sensazione si avverte fin dalle prime battute dove gentilezza, pacatezza, eleganza e decoro nei toni, nei modi e nel porsi dei nostri interlocutori ci permettono  di ben  entrare nel mood per capire un po’ di più la cucina del nostro ospite, titolare del ristorante Joia di Milano ovvero il primo ristorante europeo vegetariano a ricevere nel 1996 – tempi in cui questo modo di pensare la cucina non era ancora ben compreso – l’ambita stella Michelin.

Pietro Leemann

Come è divampata la scintilla che ha innescato il cambio di cucina da “normale” a vegetale?

Il nostro chef non ha mezze misure nel raccontarsi, va dritto al sodo con una morbidezza tale nell’esprimersi che infonde serenità: “E’ successo tanti anni: ho iniziato in ristoranti onnivori di ottimo  livello – scuola di grandi maestri della ristorazione come Angelo Conti Rossini, Gualtiero Marchesi, Fredy Girardet; erano cucine che iniziavano ad aprirsi ad un’espressione più ampia di  equilibrio del piatto. Arrivi però a un punto che ti svegli (!). Netta la sensazione di una cucina sbilanciata dal punto di vista dell’equilibrio alimentare, della proteina animale verso il grasso e le farine raffinate e…”

Palpabile già renderci conto che fin dagli esordi si è messo in discussione: racconta di sentesi fortemente in amicizia con il mondo degli animali, gli risulta  quindi difficile anche solo pensare di doverli uccidere, figuriamoci mangiarl. A 22 anni – apparentemente disorientato – si prende un sabbatico, viaggia tanto e cambia: “Ho iniziato ad essere vegetariano e da subito mi sono reso conto che questo tipo di alimentazione mi corrispondeva di più e di come la stessa mi stava trasformando. A quel tempo ero un buon sportivo (podismo, ciclismo, etc..) e mangiare così ‘diverso’  aveva favorito una miglior resa in prestazioni e  in lucidità mentale, insomma  stavo molto meglio in tutto!”

 Vuol dire che c’è un legame tra…  

“C’è una precisa e stretta correlazione tra quello che noi mangiamo, quello che noi siamo e diventiamo”.

Parte per l’oriente, con vari percorsi diventa definitivamente vegetariano e tornato nel ’89 apre il Joia: “Ristorante che voleva avere delle prerogative non solo salutari e etiche, ma anche di piacere: mi dicevo che se l’alimentazione vegetariana mi ha dato benefici notevoli, altri dovevano conoscerla per  sperimentarla e  avvicinarsi ad essa. Per farlo serviva una cucina golosa, buona e di piacere. Com’ è stato fin dagli esordi.”

 Cura e ricercatezza in ogni suo piatto: l’obiettivo di alimentare il piacere dell’anima, oltre che del palato… questo segnale arriva. Quindi s’accende l’idea di un piatto a tutto tondo..

Diciamo che per me è un elemento importantissimo – quello che alla fine determina la nostra vita e la sua qualità di vita, partendo dalle nostre radici: essere vegetariani è anche un tentativo di migliorare la nostra relazione oltre che con gli animali anche con il pianeta in cui viviamo”.

Al Joia tutto è biologico e biodinamico – cura, attenzione e ricercatezza quindi soprattutto per le materie prime. E’ essenziale che la relazione con la natura si trasponga sui piatti che non sono mai (o raramente) imitazione di una pietanza di carne, perché di fatto non ce n’è bisogno. “Ogni piatto è una celebrazione della natura e quindi fondamentalmente si  interpreta il mondo vegetale in modo poetico; i piatti del Joia hanno dei titoli chiaramente esplicativi e l’intento è sempre quello: instaurare una relazione tra i miei ospiti e la natura e a Milano è importante considerando che fisicamente la natura è un po’ distante.”

La cucina è esattamente il modo ideale perché si possa trasferire un messaggio: investendo i sensi quali vista, olfatto, tatto e gusto:mettere in RELAZIONE l’uomo con pianeta. Ne esce – secondo Leeman che la cucina è una filosofia messa in pratica: chiunque mangia, non solo si ciba ma porta il suo pensiero di persona del Giappone, dell’Africa, dell’Italia, del cacciatore, del vegetariano…

Cucina uguale pensiero: ognuno afferma quindi il suo pensiero in cucina. Ma qui a Milano dove trova le ispirazioni per fare i nuovi piatti?

“In realtà sono stato un viaggiatore ma poi viaggio molto dentro di me. Vivo  tra la Svizzera – montagne, campagna e ampi spazi –  e l’Italia – abito a Milano, in città. Da una parte porto il vento della natura verso l’Italia e dall’altra porto la cultura dell’Italia che è generata da una grande città in Sivzzera.”: Milano è un generatore di cultura: il Joianon sarebbe potuto esistere in campagna, dove ci sono ristoranti di “terra ferma” di usi semplici. La città – questa città –  è stato un luogo ideale per accogliere lo chef con questa sua cucina così precisa ma delicata e rispettosa nelle sue profonde intenzioni.

 

Una curiosità: lei si diverte ancora a cucinare o preferisce la parte più “burocratica” dietro le quinte, studiare i piatti piuttosto che essere tra i fornelli…

“Per me la cucina vegetariana negli anni è diventata una missione:  vado spesso a insegnare piuttosto che a parlare a conferenze, collaboro con aziende che hanno sposato quest’idea di alimentazione che faccia bene all’uomo, agli animali e alla natura. La cucina però  è sempre la mia passione…  per esempio stasera quando arrivo a casa farò degli gnocchi.

La passione non passa mai

E’ il motore che mi ha fatto essere cuoco, altrimenti avrei fatto un’altra cosa!” (ride sinceramente e compiaciuto).

Invece quando fa qualche piatto nuovo –  a chi chiede consiglio e chi è la persona più critica nei suoi confront?

Il processo creativo  al Joiapassa attraverso varie fasi: la prima è una fase concettuale, come concepire ed evolvere i piatti, in che direzione andare; si passa poi a prove esecutive  con la prima scrematura: ”a volte ti trovi che pensi un piatto, ti sembra geniale e subito ti dici “anche noh!” E ricominci.”

E’ sempre tutto un divenire con la brigata: ci sono dei piatti al Joiache finiscono dopo un menu o una sola stagione epoi scompaiono, altri – tipo “una coltre colorata” – che durano da 12 anni o 15 anni. Restano comunque al primo posto figlie e compagna: danno spassionata opinione quando assaggiano o il convincente là se veramente un piatto ha le carte in regola per avere veramente successo.

Lei come vede il futuro di questo tipo di ristorazione? Ad oggi c’è stato un risveglio collettivo di massa abbastanza importante anche se assopito a causa del COVID.

“Sa che il trend è aumentato del 10% ed è in continua evoluzione? Molti nostri colleghi sono sempre più sensibili a questa trasformazione: ci saranno quindi più  piatti vegetariani nei menu. Secondo me in un futuro non molto lontano – lo stiamo già percependo – le persone vorranno tornare ad una cucina vera, priva  delle estreme sofisticazioni; si vorrà concretezza nei piatti, paradossalmente la cucina farà un passo avanti tornando alle origini: credo che si volterà pagina velocemente.” 

Un consiglio per chi vuole intraprendere questa carriera e passare ad una cucina “all nature”?

Saggiamente, Leeman non manca a prendere da esempio il nostro Flavio Bardelli, visto che anche lui a suo tempo ha fatto un cambio di tendenza. “Evidentemente a monte, per fare questa scelta c’è stata una riflessione profonda che ha portato ad una trasformazione: basate sull’acquisizione di nozioni di nutrizione e alimentazione e da ultimo di cucina.” Per farlo, ci evidenzia alcuni passaggi importanti:

  • primo presupposto: un nuovo vegetariano e/o vegano mette più attenzione sulla sua alimentazione, la studia e lo studio permette di capire tante cose a livello fisico ma anche a livello profondo del sè;
  • secondo presupposto: è giusto fare un passaggio graduale, se si è nati in una cucina di stampo prettamente onnivoro e pian piano scoprire, valutare e interiorizzare la cucina vegetale;
  • terzo presupposto: non prescindere dal fatto che comunque anche una cucina vegetale deve essere sana, variegata e bilanciata;
  • quarto presupposto: l’aspetto forse più difficile, la propria coscienza: trasporre in cucina, la presa di posizione mossa dalla scelta del cambiamento.

“ Questi sono i passaggi da intraprendere, so che possono sembrare complessi da concepire ma però è affascinante fare una cucina dove c’è una riflessione a monte, piuttosto che una così tanto  per farla.”

Parola cardine: TRASFOMAZIONE. Io sono partito dal Joia…conoscere i piatti,  capire che alla base c’era qualcosa di buono e gustoso in questa cucina, valutata semplicemente diversa fino a quel momento, poi il mio viaggio in Giappone e la cultura zen e dopo l’ India e la meditazione. Ho iniziato anch’io a ragionare un po’ di più. Fasi che ha fatto anche lei, immagino.

“Certo, c’è proprio una rinascita: ottimo percorso, complimenti! Mi fa piacere per le . Sono sicuro che lei, Flavio,  non si cambierebbe per nulla al mondo tra come era prima a come è adesso. Perché ora  è un altro. E’ più sano e chi la conosce lo riesce a vedere”.

 Secondo lei  cos’è rimasto da inventare in questa cucina? Ci sono altre cose da scoprire? Lei ne sta sperimentando?

A parte le idee, punto fermo sono le direzioni che realizzano i progetti: come ad esempio al Joia si sta lavorando sulla fermentazione straordinaria, cosa non nuova – fa da millenni in oriente, oppure fare formaggi vegetali… “Interessante è conoscere i processi culturali degli eventi. Capire quanto è compresa nella nostra realtà qualsiasi cosa noi facciamo, senza mai prescindere dalla naturalità dei concetti, degli alimenti e dei processi impiegati in questa cucina. Al Joia arrostiamo, brasiamo, rosoliamo, cuciniamo al vapore senza tante complicazioni però poi nell’assemblaggio c’è la ricerca precisa sui gusti, sui contrasti, sulle consistenze, così…

I suoi piatti rispettano sempre delle linee guida, diciamo ci deve sempre essere l’elemento crudo, quello croccante, quello fermentato, quello morbido… quali sono le linee?

Sappiamo che dal punto di vista del gustoi  cibi sono classificabili in acido, salato, piccante, amaro e umami. Leeman lavora sui contrasti e gli abbinamenti, nei suoi piatti c’è sempre un gioco in questo senso.

Poi c’è la variante determinata dalla consistenzadegli ingredienti: “Una volta si stracuocevano tutte le verdure e diventava tutto uguale ora valorizziamo la natura intrinseca dei vegetali: pensate ad una melanzana con caratteristica morbida/spugnosa: diventar crema o un croccante! Egualmente esaltante.

Al Joiasi cura anche l’aspetto delle temperatureche variano dalle stagioni: in inverno sono piatti più calorosi sia in come contenuto di gusti che proprio in termine di calore del piatto, invece verso l’estate c’è più freschezza e volubilità nelle portate.

Da non trascurare poi c’è l’elemento delle forme, importanti nella cucina del nostro chef stellato: c’è una liason tra la cultura  giapponese a quella occidentale, la creazione dei piatti ha quindi una logica molto precisa per fondere insieme i due mondi:“… apparentemente i piatti possono sembrare di configurazione casuale ma ha un senso preciso legato a casualità piuttosto che a rigore.”

E ultimo – ma non per questo ultimo – c’è la dimensione emozionale: cioè in che modo si vuole toccareil proprio ospite con il cibo. Sicuramente avvolgente e mai scioccante. Conquistare con un dialogo gustativo che sappia accogliere e incuriosire senza far uso di estremismi che potrebbero sconvolgerei il palato e la sensazione e le emozioni di chi sceglie un determinato piatto.

E’ stato gentilissimo ci ha regalato una ricetta stupenda che quando l’ho vista sono rimasto a bocca aperta, estasiato…  “C’era una volta un re”! Come nasce un piatto così? Ce lo vuole descrivere?

Con sommessa gratitudine, mettendo da preambolo che al Joiaogni progetto nasce da un’idea,richiama alla mente l’inzio di quest’avventura culinaria: “Avevo letto a mia figlia una fiaba e spesso l’incipit delle fiabe nella mia generazione iniziavano con “C’era una volta un re”…  da lì è partito tutto… Possiamo idealizzare il piatto come un gioco di avvolgenza rassicurante ed  è un piatto principale, ovvero un secondo che nella cucina mediterranea sono i più difficili da realizzare. I primi, come gli antipasti e i dolci a mio avviso sono più semplice da realizzare. Nel secondo bisogna impegnarsi di più. Qui sono andato verso il gusto umami e la ricchezza di consistenza: brevemente.. ci sono  il tortino – consistente, il radicchio di Treviso – croccante, la corona  di patate – morbida e poi con una salsa al vino rosso…  è un piatto ricco di colori, gusti, di consistenza e tanta masticabilità.”

Ricetta esaustiva per un concetto importante e interessante per Pietro Leeman: la cucina in evoluzione è una cucina viva che non ripete sempre se stessa – riconsiderando alla lavorazione e trasformazione delle materie prime, conservando al loro essenza integra; ribadisce: “Io cambio, la società cambia e le persone che lavorano con me hanno nuovi pensieri… mi piace che non ci sia una staticità, mi piace ci sia un’evoluzione… siamo esseri in movimento.”

Infatti evoluzione , anni fa il biodinamico non si conosceva nemmeno come parola, ora invece è sulla bocca di tutti; come vegano e vegetariano –  stanno uscendo ovunque. Quando lei ha iniziato nessuno ne parlava… anzi come le è venuta l’idea di aprire un ristorante vegetariano ancora trent’anni fa… o quasi?

“Per quello che dicevo all’inizio… la carne non volevo più cucinarla perché ero diventato vegetariano e spinto da quel senso di dovere di ricerca di benessere interiore. A quel tempo in realtà iniziavano dei movimenti di amici del vegetarianismo e movimenti ecologici sul biologico, biodinamico – siamo tutti nati insieme in quel periodo là se vogliamo dirla e poi molti tornavano da esperienze in  oriente – io stesso tornavo dall’oriente – cambiavano la loro vita e cambiavano la loro alimentazione ed erano persone di un livello culturale medio-alto, quindi queste persone volevano mangiare bene e quindi il Joia ha voluto essere la risposta a questo tipo di nuova generazione che stava emergendo”.

Interlocutore gentilissimo, ricarica di energia positiva ad ascoltarlo. Infonde pace come si respira al Joia.

Personalmente ho sempre mangiato molto bene lì e appena si potrà, tornerò sia per la tavola che per parlare dal vivo con Leeman, chef 110 e lode.

Intervista a cura di Flavio Bardelli (www.moderngastronomy.it)

Servizio di Monica Gazzetto (www.livemedia24.com)

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