I suoi tatuaggi raccontano chi è, un combattente. Con passione, talento, rabbia nelle vene, Fabrizio Moro continua a colpirci allo stomaco e al cuore.
Lo fa attraverso una voce ruvida e profonda e nella veste inedita di regista. Istinto da pugile, di chi ha sempre trovato la forza di rialzarsi dopo ogni caduta, oggi quella sua durezza lascia spazio alla gratitudine per ciò che ha e nei confronti di chi l’ha salvato. Anche da sé stesso.
Chiuso, introverso, ciononostante un fortunato.
«Da adolescente avevo pochissimi amici ma mi ritengo molto fortunato perché sono riuscito a sfogare tutto ciò che provavo nell’arte. Da quando ho imbracciato per la prima volta la chitarra iniziando a suonare, mi sono sentito subito diverso: avevo trovato un modo per comunicare a qualcuno le mie paure attraverso le canzoni che scrivevo, attraverso la musica e non ultimo attraverso il cinema. Passavo ore e ore a girare per i Blockbuster e riportavo i film a casa. Entravo nella mia cameretta, che era già dotata di un impianto stereo comprato pezzo per pezzo da me, e mi chiudevo nel mio mondo. L’arte è un buon condotto per uscire dalla depressione: guardare film, leggere, scrivere, ascoltare musica… e poi ovviamente l’amore.»
L’amore è l’unica via d’uscita.
«A quarantasette anni, mi ritrovo ad essere un uomo separato che ha fatto pace con molti dei propri limiti e che ha imparato a dire “ti amo” alla donna che gli sta accanto. L’amore mi ha salvato: ho trovato la cura negli affetti, nei miei figli, nella mia compagna. Se non ci fossero stati loro, sarei affondato in una depressione difficile da gestire. L’amore è l’unica medicina quando l’angoscia ci viene a bussare alle cinque del mattino.»
Diventa essenziale individuare il proprio sogno.
«Alzarsi la mattina e avere uno scopo, sapere quello che si deve fare. Porsi una meta da raggiungere e riconoscere il proprio percorso è fondamentale, sia per la gratificazione personale, sia per uscire dalla depressione.»
All’origine dei pensieri.
«La scintilla dei pensieri sono i miei figli. Essere padre ha cambiato la mia vita in meglio: sono diventato più equilibrato, molto più forte rispetto a prima. Ho sempre un’immagine davanti agli occhi che mi dà forza: me seduto a capotavola. Quando ti siedi a capotavola, con i tuoi figli affianco, senti tutta la responsabilità della famiglia e devi essere forte anche per loro.»
Forza, rivalsa, speranza. Ghiaccio è un nuovo punto di partenza.
«“Ghiaccio” è la storia di due pugili sì ma è una storia di amicizia e d’amore. Da piccolo vivevo con i miei nonni materni e mi ricordo che mio nonno, un pugile, mi svegliava spesso alle tre, alle quattro di notte, noncurante che la mattina sarei dovuto andare a scuola, per farmi vedere gli incontri di boxe in tivù, quelli che si svolgevano a Las Vegas, a New York. È stato lui a trasmettermi la passione per il pugilato. Mentre immaginavo le scene, le inquadrature del film e scrivevo le canzoni del nuovo album, ogni giorno mi veniva in mente sempre la stessa cosa: puoi lottare quanto vuoi, da soli non si vince mai.»
Per sempre un combattente.
«Un combattente è un combattente sempre. Anche e soprattutto al di fuori del ring. La battaglia mi allinea con il mondo, con la mia vita, con l’amore. Se non ci fosse la battaglia, sarei un uomo perso. Ho sempre bisogno di continue sfide e nuovi punti di destinazione.»
Talvolta la rabbia diventa catarsi.
«Se ti porti dietro il marciapiede per tutta la vita, com’è successo a me, può capitare di non essere in grado di gestire la rabbia e la tiri fuori ad ogni occasione. Invece, se riesci a domarla, diventa un punto di forza; impari a canalizzarla e poi la sprigioni al momento giusto. Oggi la sprigiono sul palco: quando canto e sento che non sto riuscendo a farcela, mi ricordo da dove vengo, le mie frustrazioni… il resto lo fa la mia voce.»
La mia voce, un album nato intorno a questo motivo.
«Ho scritto “La mia voce” in una delle parentesi storiche più complicate della nostra esistenza, quando la nostra libertà, il nostro lavoro, i nostri affetti, le abitudini di sempre e la nostra intera vita, venivano (e vengono ancora oggi) messi a rischio da una pandemia mondiale che ha stravolto completamente l’equilibrio fra noi, le nostre speranze e il nostro futuro. In un momento così surreale, complicato, di profonda incertezza è importante non soffocare la propria voce interiore, tirando fuori invece la nostra individualità. Sempre e comunque.»
La verità è che tutto è diventato incerto: i sogni, le aspettative, i progetti e anche la nostra forza interiore.
«L’unica verità che mi racconto ogni giorno è quella di svegliarmi la mattina e lavorare sodo. Anche quando non c’è niente da fare cerco sempre un’idea per produrre qualcosa, un nuovo progetto da realizzare. Poi mi chiedo spesso se sono all’altezza delle situazioni che mi provoco, che creo attorno alla mia vita. Il più delle volte mi rispondo di no, ma talvolta capita che ci riesca.»
Così arriva il successo.
«Non ho mai vissuto il successo come una meta da raggiungere: una volta assicurati il cibo alla mia famiglia e una vita dignitosa, del resto non mi importa. Sono partito da zero, ho comprato la mia macchina a ventitré anni perché non avevo i soldi per prendere la patente. La mia storia è vera: vivo tuttora nel mio quartiere, vado a fare la spesa in tuta, ho ancora gli stessi amici. Se riuscirò, invece, a trasmettere ai miei figli e alle nuove generazioni il mio desiderio di speranza, la mia voglia di lottare, di combattere e di rialzarsi, allora sì che avrò avuto veramente successo.»
Gino Morabito per LiveMedia24