Ha duettato, collaborato, recitato, scritto. E pensare che tutto è cominciato nei primi anni Ottanta come comallo al porto di Genova, mentre cercava di farsi notare nel mondo discografico dietro lo pseudonimo “Espressione Musica”. Cantautore tra i più versatili del panorama italiano, dopo essersi dedicato – anima e pianoforte – ai grandi compositori del passato, scopre a vent’anni che la musica può essere anche leggera e rock.
Quella sana follia svincolata dalle convenzioni e dalle abitudini; quell’angolo di paradiso dove andare a rifugiarsi dalle frustrazioni della vita; quella smisurata capacità di fantasia, senza frontiere né limitazioni. Un viaggio, emozionante e irrinunciabile, che ha portato Francesco Baccini a diventare navigante di lungo corso in quel mare di sentimento dove si spegne ogni voce ed incomincia il canto.
Il primo singolo nell’88.
«Da “Mamma dammi i soldi” e poi “Cartoons”, ho cercato di tenere la barra dritta, nonostante il mare mosso e le tempeste. Come una sorta di equilibrista che cammina sul filo, ho sempre seguito una linea, uno stile, non curandomi delle mode e delle tendenze. Tant’è che adesso, dopo trentacinque anni, pubblico un nuovo album, “Archi e frecce”, totalmente unplugged. Un disco suonato con un piano, una chitarra acustica e un quartetto d’archi.»
Un progetto artistico realizzato con le Alter Echo String Quartet e con Michele Cusato. Tutti genovesi, per uno che non abita più a Genova da una vita.
«I genovesi sono disincantati, sarcastici, molto critici. Ed è un esercizio nei confronti della vita, che cominci a fare già da bambino. Sono un genovese oriundo, come quasi tutti i genovesi. Appartengo a quella categoria a cui Genova piace ricordarsela. Perché, da lontano, ti ricordi solo le cose belle. E, quando ci torni, riesci a starci solo un giorno. Poi scappi, realizzando perché te n’eri andato.»
Un altro genovese “da esportazione” è stato Fabrizio De André.
«Con De André ci siamo conosciuti a Milano. Ci accomuna la “genovesità”, quel certo modo di vedere la vita, di stare al mondo. Fabrizio diceva che eravamo due emigranti da cento chilometri, ma pur sempre emigranti.»
Dalla viva voce di Faber al racconto inedito di Luigi Tenco.
«Grazie anche ai racconti che faceva De André di Tenco, il prossimo 31 marzo uscirà su Prime Video il docufilm “Tu non hai capito niente”, che ho prodotto durante il lockdown. Si tratta di un gioco di specchi tra me e Luigi, dove mostro una sua immagine molto differente da quella a cui siamo abituati.»
Per alcuni anni Francesco Baccini si era allontanato dalla discografia, preferendo dedicarsi alle colonne sonore per il cinema e alla recitazione.
«Nel mio futuro e nel mio presente, c’è sì la musica ma anche il cinema. L’outsider è il ruolo che interpreto con maggiore credibilità. Anche quando ho goduto del grandissimo successo popolare, mi sono sempre ritenuto un outsider, qualcuno lì per caso. Mi considero un battitore libero, un artista trasversale alle mode e alle etichette.»
Musicalmente parlando, un onnivoro che già nel 1992 faceva nomi e cognomi.
«Ho fatto dei nomi e cognomi che sono ancora attuali, Andreotti è un classico come la giacca blu. Altri, invece, quelli dei nostri giorni, sono molto più volatili. Talmente volatili che, non appena finisce la canzone, non se li ricorda più nessuno. Sono personaggi che durano poco e non hanno nemmeno quello spessore. A farlo uscire oggi, dovrei pubblicare un quadruplo album.»
Erede della tradizione dei cantautori liguri, pubblica Navigante di te. Un suggestivo viaggio sui mari onirici di un corpo di donna.
«“Navigante di te” è un brano sognante, evocativo e l’accompagnamento musicale del quartetto d’archi e della chitarra acustica amplifica la sensazione di essere trasportati in un viaggio sulle onde lunghe del mare.»
Sensualità, paura, irrazionalità, amore.
«Ho sempre voglia di innamorarmi. Di un amore verso la vita, cercando di dare un senso alla propria esistenza. Innamorarsi di qualcosa, o di qualcuno, che dia significato alle tue giornate. Senza quella voglia di innamorarsi la vita sarebbe un’insopportabile sala d’attesa.»
Una lirica a servizio dell’emozione.
«L’emozione è tutto. Solo, ce lo siamo dimenticati, perché negli ultimi vent’anni parliamo di musica come di un prodotto di consumo. L’arte deve fare emozionare, toccare delle corde che, alla fine, ti lasciano qualcosa dentro. La differenza tra il cantante e uno che fa il cantautore è che il cantante ti vende la canzonetta, il cantautore ti vende tutto un mondo.»
Gino Morabito per LiveMedia24