Ha realizzato tutti i suoi sogni riempendo tre volte San Siro, ha forgiato un marchio sonoro improntato al pop e alla coerenza, è uscito dalla scatola del successo per riappropriarsi delle radici.
Tra l’amore di un padre e quello per la donna che ha sposato due volte, il timore di non saper più cantare e la voglia di rimettersi in forma per il nuovo tour, Kekko Silvestre racconta i Modà e si racconta, con la rinnovata consapevolezza di godersi appieno il potente spettacolo della vita.
Francesco “Kekko” Silvestre (voce), Enrico Zapparoli (chitarra), Diego Arrigoni (chitarra), Stefano Forcella (basso) e Claudio Dirani (batteria) porteranno dal vivo i brani di Buona fortuna – parte prima (prodotto da Friends & Partners/licenza esclusiva Believe Artist Services) nel tour che aspettiamo con trepidazione. La band – che da sempre trova nel live la sua condizione migliore – dovrà recuperare le date annullate a causa della pandemia nel 2020.
Comincia lo show apre la strada a un nuovo progetto discografico, nel quale risulta pressoché azzerata quella pomposità del tipico pop televisivo. C’è più musica, ci sono idee, contenuti che ci toccano sul vivo.
«È, secondo me, un brano che offre un nuovo orizzonte sonoro che spazia dalle contaminazioni elettroniche al pop-rock, ma senza snaturare lo stile melodico-compositivo che contraddistingue da sempre il nostro Dna.»
I migliori Modà di sempre, con un ritorno sulla scena che fa molto rumore.
«I Modà non seguono un genere, noi siamo uno stato d’animo. Facciamo musica pop, musica capace di attraversare tutte le generazioni, arrivare a molti. Ed è per questo che cerchiamo di dare anche nei testi messaggi sociali.»
“Siamo figli dell’inquietudine, di chi sa di non essere quello che vuole essere”.
«Viviamo in un mondo virtuale fatto di gente frustrata che, senza licenza, semina cattiveria gratuita a destra e a manca. Finché succede a noi, che abbiamo vent’anni di carriera alle spalle, sappiamo discernere le critiche tra chi è un ignorante e chi ne capisce di musica. Ma ci sono persone fragili che non sanno come rispondere e, in alcuni casi, compiono gesti estremi. Bisogna proteggere queste persone ed educare meglio i nostri figli facendo loro notare cosa è giusto e cosa sbagliato. Non dobbiamo rimanere in silenzio!»
Un’aperta critica al mondo social di oggi dove chiunque, seduto sul proprio divano, può brandire il telefono come un’arma, sparando giudizi contro chi si trova dall’altra parte dello schermo.
«Una volta il bullo lo vedevi al bar, era quello più grosso e anche quello più stronzo che picchiava i bambini più piccoli, e potevi intervenire perché lo riconoscevi. Oggi, invece, il bullo non lo riconosci. Si nasconde dietro la tastiera, magari, se lo incontrassi di persona, ti accorgeresti che è brutto, ignorante e non mette affatto paura. Non sto sui social e non li demonizzo. Il problema è che sono diventati una discarica a cielo aperto dove si celebra la sagra del “non so fare niente, però sono bella e ti faccio vedere”. Ci trovi gente convinta che, solo abbinando le citazioni dei poeti a foto di culi e addominali, si possa riuscire a sfondare. E questo è il peggior insegnamento che si possa dare alle giovani generazioni. Oggi non si pensa più a studiare ma a fare gli influencer.»
D’altro canto, i social network rappresentano una grande possibilità per chiunque abbia bisogno di farsi conoscere per un talento, per un lavoro che svolge, per comunicare in maniera più veloce e diretta.
«Non sicuramente per aspirare a una vita che è artefatta: macchine di grossa cilindrata, barche, champagne… C’è gente che ostenta tutto quel lusso, ma è soltanto finzione. Il problema vero è che si vuol far credere che la vita sia proprio quella.»
La vita è dentro noi stessi, un dono imperscrutabile come la fede.
«Non sono uno che va in chiesa, ma penso che ciascuno possa pregare a casa sua tutti i giorni senza andare difronte a un crocifisso. Io parlo con Lui quotidianamente, lo ringrazio sempre. Il nostro è un rapporto particolare ma costante.»
Segno tangibile del cambiamento è l’ammissione delle proprie colpe.
«Certo, anch’io ho fatto i miei errori da ragazzino. A volte, quando mi rivedo, m’incazzo perché non mi sono comportato come avrei dovuto o come vorrei che si comportasse mia figlia. Mi pento di cose, gesti, situazioni, ma fa parte dell’adolescenza, del percorso di crescita di ognuno.»
Solide radici alla base di un’esistenza concreta.
«Sono cresciuto con i valori del rispetto e della famiglia. Ho la stessa compagna da ventitré anni; sono uno che vive di cose vere, reali, che si possono toccare. So che tutto ciò che di bello ho vissuto e il successo sono due cose completamente diverse. Il mondo dello spettacolo è una scatola vuota e, se voglio trovare qualcosa dentro la scatola, posso trovarla solo a casa mia, dai miei affetti. Non so se questo tipo di atteggiamento sia quello giusto, ma so che stare vicino alle radici che mi hanno cresciuto mi fa sentire più sicuro.»
L’importanza di costruire un dialogo con i giovani, a partire dai figli.
«Credo che i genitori debbano sempre instaurare un dialogo con i figli, perché viviamo in una società che va troppo veloce rispetto al passato; i bambini crescono più in fretta e tutti quei pericoli, che una volta trovavi in un angolo remoto della strada, oggi sono dappertutto.»
C’è tanto Francesco e tanto papà nel nuovo disco di Kekko Silvestre & Co.
«Sono pazzo di mia figlia, è una bravissima cuoca e a nove anni fa delle torte buonissime. Presto molta attenzione alla sua educazione, insegnandole a stare sempre dalla parte dei deboli e di proteggerli dai bulli. In “Non ti mancherà mai il mare” dico a Gioia, non solo di non commettere i miei stessi errori, ma di vivere la vita fuori dalle mura domestiche. Mi sono chiuso molto in quest’ultimo periodo, vivendo un profondo senso di colpa, a causa della sensazione di poterla in qualche modo influenzare con le mie paure. È fondamentale per noi genitori trasmettere i valori ai figli, ma devono essere liberi di vivere la loro esistenza.»
Buona fortuna, quanto ne abbiamo bisogno!
«Il titolo si riferisce alla voglia di riscatto dopo un periodo come questo, vissuto con difficoltà dalla gente. Vuole essere un augurio sincero, è un buona fortuna dedicato a tutti. Un disco in pieno stile Modà, senza che per forza ci debba essere un filo conduttore. Anche in questo Ep è così: ci trovi la ballad rock, la traccia elettronica; il pezzo pop, quello più caraibico, uno un po’ più classico… Nei nostri dischi non ci sono i soliti due, tre singoli e poi tutto il resto fa da contorno. Quando realizziamo un progetto, cerchiamo di metterci sempre dentro tutto il meglio possibile.»
Modà, un marchio che nasce agli inizi del Duemila.
«Il tempo mi ha dato ragione: l’idea iniziale che avevo, l’esigenza di formare una band, si è rivelata quella giusta. Resto fermo nella convinzione che il lavoro di squadra sia vincente, perché da soli non si va da nessuna parte. Ci sono state tantissime scremature prima di arrivare alla formazione definitiva ed è stata una grande fortuna, come gruppo, riuscire a ritrovarsi vicini in tutti questi anni, coinvolti nello stesso progetto. So suonare il pianoforte ma non sono diplomato al conservatorio, le canzoni le so scrivere e la musica la so leggere, strimpello la chitarra e improvviso qualche arrangiamento canzoni. Però, quando hai attorno delle persone in grado di sviluppare l’idea musicale di ogni strumento, ti accorgi della differenza. È vero che questo risultato lo potresti anche ottenere con dei musicisti professionisti diversi dalla band, però poi non avrebbe quella linea di coerenza, che è in fondo il mio marchio, il nostro marchio, quello dei Modà.»
Quella che si riaffaccia sulla scena italiana è una formazione vincente, con la consapevolezza di aver raggiunto un’indiscussa riconoscibilità artistica.
«Ciò che da sempre più mi interessava era la riconoscibilità, e l’abbiamo ottenuta. Non sono mai stato uno sperimentalista, quanto invece un integralista. Il pop per noi significa coerenza.»
Hanno riempito tre volte San Siro, suonato in giro per il mondo, collezionato un disco di diamante e nove di platino. La band dei record sogna ancora.
«Sogno di non perdere quello che ho e di tenermi stretto ciò che è rimasto di tutto il sogno, che poi alla fine è quello che conta: il pubblico, i concerti… So che sarà difficile, forse impossibile, ripetere San Siro! Perché, per riempire uno stadio, servono veramente le cannonate dal punto di vista del marketing, occorrono radio e tivù. Continuare a fare i palazzetti sold out; uscire con quello che ci piace, con quello che abbiamo scritto… beh, mi renderebbe felice. Sarei felice anche di suonare in cinque palazzetti all’anno, ma venti significa che la gente non si è scordata di te.»
Gino Morabito per LiveMedia24