Aveva ripassato il piano di volo, svolto le visite mediche, era andato a correre nel deserto. Con lui, i compagni di viaggio, il comandante russo Fëdor Nikolaevic Jurcichin e l’astronauta statunitense Karen Nyberg. Dopo la benedizione del prete ortodosso, il momento di prepararsi al decollo.
Era la sera del 28 maggio del 2013 e il catanese Luca Parmitano si apprestava a diventare l’uomo delle stelle.
La missione “Volare”, la prima di lunga durata dell’Agenzia spaziale italiana, inizia con il lancio di una navicella Soyuz dal cosmodromo di Baykonour.
«Modugno, con il suo “Nel blu dipinto di blu” era un sognatore, come Lennon, e i sognatori sono quelli che vedono prima e più lontano degli altri. Noi possiamo solo imparare da questi pionieri che riescono a guardare ben oltre il visibile. La mia missione è stata battezzata “Volare”, un nome che racchiude molti punti di riferimento della mia vita e che, proprio mentre ammiravo la Terra sconfinata sotto i miei occhi, si è arricchito di un ulteriore significato, legato a una figura che mi è particolarmente cara: l’aviatrice americana Amelia Earhart, la prima donna a compiere in volo la traversata atlantica. Diceva sempre che “volare significa nessun confine: solo orizzonti”.»
Guardare il mondo dalla cupola è indescrivibile.
«Si ha il senso di fragilità del pianeta Terra, con la sua atmosfera sottilissima, e dell’incredibile bellezza di questo gioiello sospeso nel velluto nero dello spazio.»
Trovare quella luce che ci guida lontano spingendoci a cercare il nostro sogno.
«Il sogno è quello che mettiamo nel cassetto sapendo che si tratta di qualcosa inarrivabile. Ogni tanto, poi, riapriamo quel cassetto e ci assicuriamo che il nostro sogno sia ancora lì, che non abbia perso la sua luce.»
Per tutto il resto c’è la realtà.
«Tutto ciò che è al di sotto del sogno può diventare un progetto realizzabile. Esiste un percorso, per quanto difficile e improbabile, che ci permette di raggiungere il nostro obiettivo.»
Ricercare la magia nella vita, anche quando i progetti sono piccoli e immediati.
«Magari non sarà eclatante, ma è nella realizzazione del progetto di ogni giorno che trovo la mia soddisfazione.»
Siciliano, astronauta, sperimentatore. Per tutti è Astroluca. Per lui più semplicemente un uomo che ha davanti a sé la propria sfida.
«Esistono tre aspetti di me. Uno che è visibile a me stesso e agli altri, ed è la maschera pirandelliana più nota, quella di un essere umano estremamente tenace e ambizioso, con tutti i suoi pregi e difetti. C’è poi un me stesso più privato, che non è visibile all’esterno ma è quello che vedo riflesso nello specchio. Questo Luca è un po’ più problematico, indossa una maschera diversa dall’atro, con molti più difetti che pregi. Ha anche più cattiverie, per certi versi, è meno sensibile al compromesso. Infine, c’è un terzo Luca, che io non vedo e che invece vedono gli altri. Me lo raccontano ogni tanto e faccio fatica a riconoscerlo. È un Luca senza maschera, spesso migliore di quello che pensavo, a volte però con difetti che non credevo di avere.»
I genitori, entrambi docenti, gli hanno trasmesso il valore dell’educazione.
«Educazione, sia in senso lato come comportamento, sia soprattutto come ricerca della conoscenza. Dunque il valore della cultura, del migliorarsi, dell’aggiornarsi continuamente.»
Aspetti che sottendono uno spiccato senso di civiltà.
«Quel senso profondo di educazione civica che forse oggi non esiste più. Il riconoscimento del bene comune e del suo valore superiore rispetto a quello del bene individuale. Dedicare parte della propria vita nel tentativo di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato, senza pretendere nulla in cambio. Atteggiamento che nel tempo si è consolidato in me, facendo parte di una forza armata il cui valore principale è proprio quello del servizio.»
Una volta si diceva patria, famiglia, lavoro. Erano gli anni Cinquanta.
«Erano valori tradizionali, molto italiani. Un tempo la patria era campanilistica, oggi può essere l’Italia, l’Europa, il pianeta Terra. E anche il lavoro, prima era qualcosa in cui ci riconoscevamo, mentre invece adesso non è più così: si adatta alle nuove richieste del mercato, diventa flessibile, smart. Quanto alla famiglia, è ancora un valore. Ma si tratta di una famiglia diversa da quella a cui eravamo abituati. Credo tuttavia che quest’allargamento di visione sia un’evoluzione in positivo.»
La felicità è un valore fondamentale.
«Nel mio caso, essere felice significa riuscire a gestire il tempo da dedicare a me stesso. Spesso, però, la gestione del tempo che dedico a me prende il sopravvento rispetto a quello che dedico agli altri. Anche in questo momento, le mie scelte di vita mi portano lontano dall’amore, dalla famiglia, dagli affetti…»
… restando saldo il legame con le proprie radici.
«Sicuramente, per un isolano, esiste una sorta di identità legata al territorio, che è particolare, perché siamo, di fatto, svincolati dall’Italia e quindi il senso di appartenenza è rafforzato. La Sicilia, terra antichissima, mi ha dato il senso della storia, che è un dono. Altro dono è l’amore per la natura. È un’isola dalle bellezze uniche e, purtroppo, maledetta dalla nostra atavica mancanza di civismo. Non abbiamo acquisito un senso collettivo del vivere ma siamo ancora limitati nel pensare che ciò che è mio è mio e ciò che è di tutti è di nessuno. Infine, mi ha trasmesso l’amore per la vita. Ho sempre pensato che gli italiani amino vivere in maniera profonda, e noi siciliani non siamo da meno.»
L’incredibile avventura di vivere resta comunque la più grande sfida.
«Il senso della sfida è sempre il medesimo: avere un ostacolo davanti e pensare di non riuscire a superarlo. Il coraggio è provarci comunque.»
Gino Morabito per LiveMedia24