IL SEME DEL FICO SACRO, LA RECENSIONE

Girato in semiclandestinità è una perla del cinema per un pubblico esigente

Il Seme del Fico Sacro

Candidato agli Oscar 2025  come Miglior Film Straniero, non ha ottenuto il prestigioso premio andato al non meno toccante Io sono ancora qui di Walter Salles (https://www.livemedia24.com/cinema-televisione/approfondimenti-cinema-tv-cinema/quando-il-cinema-racconta-con-delicatezza-la-dignita-e-la-resistenza/)  

In competizione nell’incredibile edizione 2024 del Festival di Cannes ( Anora, Emilia Perez)  dove si aggiudica Il Premio Speciale della Giuria,  Il Seme del Fico Sacro, del regista iraniano Mohammad Rasoulof (Orso d’Oro a Berlino nel 2020 con Il male non esiste), è ora nelle sale.

Girato fortunosamente in Iran, quasi di nascosto dalle autorità governative, da dove il regista è fuggito per scampare alla condanna di 8 anni di carcere, Il Seme del Fico Sacro arriva a Cannes in modo altrettanto miracoloso. E’ dunque quasi un privilegio poter vedere al cinema questo film incredibile nella denuncia sociale e davvero molto bello ed inaspettato dal punto di vista artistico.

Figlio delle proteste che hanno incendiato l’Iran nel 2022, quando Rasoulof era in carcere, colpisce per la forza drammatica e l’atrocità dei fatti narrati pur con uno stile semplice e lineare.

Tre ore di proiezione con una sceneggiatura quasi imprevedibile, da un prologo nero in cui prendono forma parole che sanno di tradizione arcaica e che aleggiano su tutto il film. A una messinscena molto moderna, nell’Iran di oggi, nei meccanismi di uno stato teocratico totalitario che crede di poter contenere la libertà e la diffusione pervasiva della tecnologia con le esigenze di autonomia personale che questa incarna.

Il focus

La visuale è quella di una famiglia unita benestante, in un momento felice quale la promozione di Iman, il padre, a Giudice Istruttore della Guardia Rivoluzionaria. Un nuovo traguardo che permette a tutti una migliore condizione di vita, una casa più spaziosa con una camera da letto in più. In particolare la moglie Najmeh è molto orgogliosa e vuole festeggiare la promozione con grande gioia ed entusiasmo. “Avremo un appartamento di tre stanze. Le ragazze sono troppo grandi per continuare a condividere la stessa stanza”, dice al marito. Le due figlie adolescenti, rispettose dei genitori, all’inizio  un po’ indifferenti, sembrano finalmente interessate quando vengono a sapere che avranno uno spazio tutto loro, in una nuova casa messa a disposizione dalla autorità governativa.

 

Nulla è però come si profila inizialmente, Iman ben presto è assalito da dubbi e turbamenti sul suo nuovo ruolo, tanto che confida alla moglie:  “Pensano di potermi costringere a fare qualsiasi cosa”, firmare condanne a morte senza nemmeno avere consultato i fascicoli e quindi non permettere i più elementari diritti di difesa degli imputati, incolpati di reati contro lo stato, spesso ingiustamente.

Epilogo

Il microcosmo familiare, pur costantemente protetto da Najmeh, non può essere isolato  da ciò che accade nella società iraniana. Le proteste di piazza per la morte di Mahsa Amini del settembre 2022 riportate nel film con i video dei telefonini, caricati da tutti su social network e forum, che la figlia maggiore del giudice, grande amica di una delle ragazze ferite e poi arrestate e scomparse, guarda e commenta atterrita, scuotono le coscienze giovanili. La ribellione dilaga e travolge.

Il potere presenta una versione faziosa dei fatti. Le due amorevoli  figlie di Iman e Najmeh sono dirette testimoni delle brutalità ed attrici critiche non più ossequiose solo alla versione familiare.

La tensione sale fino a divenire conflitto, nella vita civile come nella dimensione familiare in cui tutto viene messo in discussione.

Emma Borella per http://LiveMedia24.com

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