The Brutalist, la recensione

Un film denso, toccante, una storia di fuga ed immigrazione, difficile rinascita ed ostinata idealità

The Brutalist: un’ emozione  di cui vale veramente la pena

Il regista statunitense  Brady Corbet, al cinema con The Brutalist, presenta  un’ opera imponente, toccante, profondamente empatica, destinata a restare nella storia del cinema contemporaneo e che si può accostare a grandi classici come Il  Petroliere o C’era una volta in America. E’ comprensibile che, dopo la premier alla Mostra del Cinema di Venezia in cui  ha ottenuto Il Leone d’Argento per la regia, il film abbia collezionato 10 nomination agli Oscar e sia uno dei favoriti nella prestigiosa competizione.

Complesso per i molti temi affrontati e gli innumerevoli spunti di riflessione, nei 215 minuti, The Brutalist scorre in modo molto fluido, con un ritmo costante,  senza mai  una flessione o una sequenza poco riuscita. Frutto di sette anni di preparazione, è realizzato in pellicola da  70 mm, con una straordinaria  qualità di immagine che si apprezza completamente nelle poche sale italiane dotate di un proiettore adeguato ma che si distingue  pure nel formato digitale di comune diffusione. Il regista Brady Corbet non nega di avere usato le migliori tecnologie a disposizione, compresa l’intelligenza artificiale con cui ha migliorato  l’inflessione ungherese al bravissimo ed intenso Adrien Brody (Premio Oscar per Il pianista 2003) che recita nei panni del protagonista László Tóth.

Il trailer italiano del film di Brady Corbet

L’odissea umana e creativa di László Tóth

The Brutalist è una storia di immigrazione e di fuga  dagli orrori del Secondo conflitto e dell’Olocausto.

Dopo un incipit efficace in cui colpisce l’immagine della Statua della Libertà capovolta, nel film inizia l’odissea dell’ungherese László Tóth (Adrien Brody), alla ricerca di un luogo dove poter ritornare a vivere in quiete e normalità. Sbarcato negli USA, dapprima lo accoglie il cugino Attila (Alessandro Nivola) che gli offre l’opportunità di lavorare con lui nel suo negozio di mobili e lo ospita temporaneamente. In seguito alla ristrutturazione di una importante libreria del magnate Harrison Lee van Buren (Guy Pearce),  László si riappropria della sua identità di architetto brutalista, formatosi alla scuola del Bauhaus in Europa, poi divenuto pregevole  autore di edifici pubblici di notevole carattere  ma annientato dalla cultura nazista e perseguitato perché ebreo.

Il potente  Van Buren, colpito dal suo temperamento artistico, decide di affidargli un progetto mastodontico: la costruzione di un centro culturale e luogo di aggregazione, destinato a ospitare nello stesso edificio biblioteca pubblica, palestra e cappella.

László accetta l’incarico e la sfida, ottiene il tanto agognato ricongiungimento con la moglie e la nipote, bloccate in Europa da tempo. Ma gli Stati Uniti non sono l’eldorado sognato e neppure il suo benefattore gli offre un successo incondizionato. Il suo percorso è una sorta di calvario in cui si dibatte tra il desiderio di portare a compimento le proprie aspirazioni, convivere con le sue miserie e le debolezze del presente e preservare una dignità fortemente minata da un mondo capitalistico spietato ed opprimente.

Un film raffinato che mette in luce le contraddizioni e la complessità di un’epoca storica

Frutto di un lavoro di sceneggiatura accurato ed originale dello stesso Brady Corbet e della compagna Mona Fastvold, The Brutalist si ispira in modo libero a vicende reali di molti ungheresi emigrati negli Usa in seguito alle persecuzioni naziste, tra cui gli stessi genitori di Adrien Brody.

László Tóth è un personaggio immaginario che si riflette in innumerevoli vite reali approdate in una società all’apparenza ospitale. Nella finzione, tutta la sua parabola esistenziale è delineata con una introspezione psicologica toccante e con la volontà di  mettere a nudo la complessità delle sue contraddizioni e lacerazioni.

Egli si dibatte nel portare a termine l’imponente edificio commissionatogli. La sua grande passione per l’architettura “Brutalista”, fatta di forme lineari, imponenti e di cemento armato, lo motiva ad impegnare tutto se stesso nell’impresa, per dare voce alla sua potente idealità. Perché “C’è stata una guerra. Eppure, per quanto mi è dato sapere, molti degli edifici che ho progettato sono sopravvissuti. Loro rimangono, saldi, nella città. Quando la terribile memoria di quello che è successo in Europa smetterà di umiliarci, nutro la speranza che i miei progetti di allora saranno politicamente utili, stimolando i rivolgimenti che così di frequente scandisco i cicli dei popoli. Ci sono già i segnali di una diffusa retorica fatta di collera, paura. Un fiume in piena, di simili trivialità potrebbe rompere gli argini. Ma i miei edifici, li ho concepiti per resistere anche alle erosioni delle rive del Danubio”(László Tóth).

Il rapporto con la committenza, tuttavia è tutt’altro che facile. Si scontrano ragioni economiche e di dominio sulla appropriazione di una opera che necessariamente è collettiva e per il magnate Harrison Lee van Buren rappresenta il segno indelebile del successo personale. Il benefattore è anche il carceriere arrogante in una dinamica di cieca sopraffazione.

Gli affetti

Nella parabola esistenziale di László Tóth il fortissimo legame con la moglie moglie Erzsébet (Felicity Jones, nominata all’Oscar) e della nipote Zsofia (Raffey Cassidy) è senza dubbio fondante. Sulla coppia grava la pesantezza e l’orrore della guerra come mostrano gli evidenti  segni delle persecuzioni inflitte  nella psiche e nei corpi. La loro relazione  affronta le immani difficoltà di una lunga separazione forzata. Quando, finalmente,  il sogno della ricongiunzione si realizza, nuove ed inaspettate difficoltà affliggono i fragili personaggi, imponendo prove difficili di resistenza nel preservare  serenità ed autonomia.

Conclusione

Un prologo, tre atti, una intera esistenza in un contesto storico complesso e drammatico. The Brutalist è un film che non delude in ogni suo aspetto e riserva inaspettate sorprese, con una chiave di lettura originale  che trascende dalle circostanze storiche per divenire parabola anche dell’oggi, dell’umanità e delle dinamiche sociali in atto.

Intervista al regista Brady Corbet e a Mona Fastvold

Emma Borella per http://LiveMedia24.com

 

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