Intervistiamo Luigi Diberti, reduce dal successo della sesta serie di “Che Dio ci aiuti”
A tu per tu con un bravissimo attore, Luigi Diberti, reduce dal successo della sesta serie di “Che Dio ci aiuti”, popolare fiction della Rai. Disponibile e sempre molto gentile, Luigi ha alle spalle una carriera ricca di esperienze, di successi, sia teatrali che cinematografici e televisivi. Diplomatosi all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, ha mosso i suoi primi passi sul palcoscenico sotto la guida di Luca Ronconi, che lo scoprì e lo volle nel ruolo di Ruggero, ne “L’Orlando furioso”. Luigi ci parla dell’esperienza sul set ai tempi della pandemia, del suo amato teatro, dei suoi progetti futuri.
Luigi Diberti
Grazie per essere con noi di LiveMedia24, Signor Diberti. Come ha trascorso il periodo legato alla pandemia che ancora attanaglia le nostre vite?
Francamente non ho sofferto molto. Vivo in una casa che divido con la famiglia di mio figlio e, in una certa misura, non ho quindi mai avuto solitudini irrisolvibili. Mi muovo, inoltre, facilmente tra l’Umbria e Roma, in quanto ho la residenza in Umbria e il domicilio a Roma. Ho patito piuttosto l’assenza di altre cose, come il teatro, il cinema, i musei.
Teatro, televisione e doppiaggio, lei ha toccato ognuno di questi ambiti. A quale di essi sente di essere più affine ?
Sicuramente al teatro, specie per via degli studi che ho affrontato in partenza. Amo molto anche il cinema ma, quando sono sul palcoscenico, sono nel mio habitat. Il doppiaggio ho dovuto abbandonarlo tempo fa, per via del fatto che non avevo modo di dedicargli il tempo necessario. Da poco è venuto a mancare un grandissimo doppiatore, Claudio Sorrentino, con cui mi divertivo, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, a doppiare la sitcom di successo, “Happy Days”. Ho fatto del doppiaggio interessante, avendo il piacere di collaborare anche con Kubrick, anni fa, nel film “Arancia Meccanica”. Fu un’esperienza molto divertente. Amo molto anche la radio.
Teatri chiusi. Il mondo dello spettacolo ha subito uno stop inaspettato. Qual’è il suo pensiero a riguardo?
Non si può fare teatro in streaming. Sarebbe come pretendere di poter fare l’amore per telefono. Il teatro è un qualcosa che ha bisogno di presenza, di fisicità. Questo è il mio modesto pensiero. Lo scorso anno ero in scena con uno spettacolo, “I fuoriusciti”, insieme ad Antonello Fassari con la regia di Maccarinelli. Una storia, quella che avremmo dovuto continuare a portare in scena, davvero interessante, sia da svolgere che da presentare al pubblico. Giovanni Grasso, colui che si è occupato di scriverla, ha fatto in modo che un liberale e un cattolico si incontrassero, pur avendo posizioni opposte ma comunque profonda stima l’uno verso l’altro, nella New York del 1944. Vi era in progetto anche un altro monologo, da presentare sempre lo scorso marzo, a Città della Pieve. Una storia interessante, a molti sconosciuta. All’inizio del secolo scorso, nel 1913 per esattezza e proprio a Città della Pieve, nacque un giovane, tale Elio Trenta, che inventò il cambio automatico e ne registrò il brevetto presso il ministero delle corporazioni. Si tratta di una storia davvero curiosa ma di grande portata. Il giovane purtroppo morì all’età di 21 anni. Ho da poco ripreso in mano il copione e spero di poterlo portare presto in scena.
È reduce dal successo di “Che Dio ci aiuti”, popolare fiction di Rai1. Com’è stato girare ai tempi della pandemia?
Mi sono divertito molto sul set di “Che Dio ci aiuti”. È stato un piacere poter girare con Elena Sofia Ricci, un’amica che conosco ormai da anni. È capitato che una collega di set sia stata male ma, nonostante le leggere problematiche che questa vicenda ha causato, la produzione non si è fermata, siamo comunque andati avanti. Le storie che si raccontano, all’interno della fiction, sono di vario genere e, quando un personaggio subisce un fermo forzato, si ha comunque modo di continuare a lavorare su altri punti della sceneggiatura. Francesco Vicario, il regista della serie, è una persona di tale intelligenza e sensibilità da essere in grado di sapere come monterà il risultato di un prodotto, seppure vi siano dei salti mortali da effettuare. La produzione è stata attentissima a tutto, dal punto di vista sanitario. Avevamo la mascherina, salvo quando eravamo in scena, e vi era un continuo controllo della febbre, con relativi tamponi e quanto altro. Si è davvero trattato di una lavorazione attenta e per niente faticosa.
Ha interpretato un papà piuttosto anomalo..
Si (ride). La cosa divertente è che, all’inizio della lavorazione, avevo letto soltanto le prime puntate, senza sapere che fine facesse poi il mio personaggio. Ero quindi, almeno inizialmente, ben deciso su che strada prendere, quando poi mi è stato detto che era un cattivo, mi ha davvero divertito interpretarlo. Avrei voluto anche approfondirne la cattiveria. Mi è stato suggerito di non farlo, di non andare oltre.
Luigi Diberti
Non siamo abituati a vederla interpretare un cattivo..
Per un attore è molto divertente interpretare un cattivo. Solitamente i buoni sono noiosi, benché possano suscitare simpatia. Personalmente preferisco un perfido, un personaggio ambiguo. Mi diverte molto di più.
In tutti “Pazzi per amore” era un buono per eccellenza..
Certo, ma lì si parla di commedia. I ruoli erano funzionali al racconto. Ero un marito, così come la moglie lo voleva. Anche quella fu un’esperienza divertentissima, dove si ballava e si cantava.
Cosa la colpisce di più quando è sul set?
Le variazioni improvvise. Ossia quando un’inquadratura che, almeno inizialmente, sembra essere perfetta, costringe poi, improvvisamente, la troupe a modificare il tutto. In quei momenti resto incantato nell’assistere, nel giro di pochi minuti, al rovesciamento di tutto ciò che era da parte dei tecnici. Mi piace davvero tanto il lavoro che svolgono.
Lei ha avuto una carriera brillante e ricca di esperienze. Cosa consiglia a chi pensa di intraprendere questo lavoro?
Spero trovino lavoro e che il teatro riprenda ad essere ciò che è stato. Sempre più spesso capita che ci siano bravi attori che non riescono a lavorare. Ai miei tempi eravamo in pochi, con meno mezzi tecnologici e tournée lunghe circa 7 mesi. Per loro è di certo più difficile riuscire in questo mestiere.
Oggi è difficile riuscire in ogni ambito..
Certo. Noi attori siamo però dei precari istituzionali. Quando i ragazzi mi chiedono consiglio, dico sempre loro di provarci. Magari, alle brutte, possono sempre tornare indietro. Quando si ha la fortuna di avere una passione, bisogna perseguirla, tentare sempre. D’altronde, il teatro è costituito da tanti mesi di prove, che ne compongono la sua meraviglia. Mi viene in mente una frase di Gigi Proietti, grande persona ed attore: “Nel teatro tutto è finto ma niente è falso”.
Luigi Diberti
C’è già un nuovo set pronto ad aspettarla?
Devo girare un corto a giugno. Un progetto interessante e poi ci sarebbe un ipotetico progetto spagnolo che, quando sarà, di certo vi dirò. Ora penso a focalizzare la mia attenzione su “Elio Trenta”.
Ringraziamo Luigi Diberti della disponibilità.
Le foto presenti nell’articolo sono di gentile concessione dell’Agenzia Diberti & C