Sei nell’anima, il biopic su Gianna Nannini
Sei nell’anima, il biopic dedicato a Gianna Nannini, racconta l’esordio della rock star tra contratti discografici e notti brave.
Sei nell’anima è il biopic su Gianna Nannini diretto da Cinzia TH Torrini, disponibile su Netflix.
La trama ripercorre gli esordi tra gli anni Settanta e gli Ottanta dell’artista senese, riprendendo l’autobiografia dal titolo Cazzi miei (Mondadori, 2016).
Gianna Nannini proviene da una famiglia molto benestante (il padre è un industriale del settore dolciario, il fratello minore sarà pilota di Formula 1). Il suo talento e la sua voglia di ribellione la portano a fuggire da Siena e a tentare la strada della musica sin da giovanissima. Il biopic racconta gli esordi turbolenti in Germania prima ancora che in Italia, la battaglia con i discografici (Andrea Delogu interpreta Mara Maionchi) con cui il feeling non sboccia perché è troppo poco avvezza ai compromessi, le pressioni del manager, l’instabilità mentale.
Ragazzo dell’Europa racconta bene quel periodo di grandi viaggi in Europa, e alla fine trova pace e il suo posto nel mondo. A muovere tutto, in mezzo, c’è il rapporto risaputo e complesso con il padre, che la voleva nell’azienda di famiglia.
Sei nell’anima deve buona parte della sua riuscita alla brava e sorprendente Letizia Toni che la interpreta. Per il resto risulta un’occasione persa: il racconto risulta infatti didascalico, e sembra rinunciare alla verità nella sua completezza per l’essenzialità di un racconto che diventa pura celebrazione.
Sei nell’anima è sicuramente una parabola sulla perdita dell’innocenza e la scoperta di sé, sulla fuga dalla provincia e sul coraggio di prendere certe scelte personali e artistiche. Quella di Gianna Nannini è in effetti una storia sulla necessità di essere sé stessi, affermarsi, lottare.
Nel racconto viene dato tanto spazio alla crescita personale, e al complicato rapporto con il padre (fino ad un finale troppo auto-celebrativo) e poco alla parte musicale che invece avrebbe meritato di più. Riesce infatti poco a sottolineare l’eccezionalità di una delle più note interpreti della canzone italiana e cioè di momenti che spieghino quanto Nannini, tra gli inizi del 1976 e il 1987 fosse innovativa, rara, originale.
Gianna Nannini ha raggiunto risultati impensabili per tanti colleghi, maschi e non solo, lottando contro i pregiudizi e proponendosi come un’artista alternativa, che non somigliava a nessuno con la sua estetica androgina.
Il pezzo con cui esordì, Morta per autoprocurato aborto, era una ballata in stile primo Venditti, sul tema dell’aborto clandestino; nel film non si capisce fino in fondo quanto fosse sconcertante che nell’Italia di allora una donna fosse cantautrice e non interprete di pezzi scritti da maschi, e che soprattutto raccontasse le sue esigenze.
Anche i successivi Latin lover (1982) e Puzzle (1984, con il classicone Fotoromanza) che vengono lavorati in Germania, e vendano in tutta Europa unendo il sound mediterraneo a quello dei sintetizzatori mitteleuropei, ancora, nel film è raccontato appena in parte.
Alla fine, Sei nell’anima è un tentativo, legittimo, di raccontare Gianna Nannini alle nuove generazioni.
Resta n invito a riscoprire un’artista di cui ci è arrivata un’immagine un po’ distorta, anche troppo celebrata per le ballate pop-rock arrivate dopo ‒ Meravigliosa creatura, Un’estate italiana, la stessa Sei nell’anima ‒ e mai davvero apprezzata per la portata rivoluzionaria, internazionalista, radicale degli inizi.
Sara Esposito per LiveMedia24
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